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TRENO POPOLARE, di Raffaello Matarazzo - 1933 - con Lina Gennari, Marcello Spada, Carlo Pietrangeli... - Lo scrivente ha scelto questa pellicola, molto più significativa di quanto possa apparire, perché fonte e testimonianza della Storia pregressa italiana. Risiedendo all'estero càpita sovente che gli autoctoni, per amor di conoscenza, chiedano come e quale fosse la cinematografia durante il Fascismo.

Potremmo sintetizzare in poche parole che il regime avesse il pieno controllo delle pellicole da proporre ai registi, e soprattutto, dopo averle visionate, autorizzare ad essere proiettate. Tutto questo è logico: in Germania, peraltro, le regole erano le stesse, ma i registi tedeschi e mitteleuropei all'avvento del nazismo, pensarono bene a fuggire dal suolo tedesco ed in genere trasferirsi in America. Un nome per tutti, Fritz Lang: appena Hitler gli offrì la direzione generale delle pellicole della propaganda nazista, finse di accettare e la sera stessa in modo rocambolesco abbandonò il Paese. In Italia non fu così, ed i frutti si vedono osservando i film scelti dai gerarchi, tutti o quasi di una pochezza allarmante, di una noia insopportabile. Venivano proiettate pellicole di improbabili azioni e vittorie italiane in Europa, imprese ai limiti dell'eroismo, travolgenti azioni militari.

Sappiamo che le nostre armate invasero l'Africa Orientale Italiana, Libia, Grecia, Jugoslavia e Russia: nessuna pellicola incentrata su quelle sonore disfatte. Una nota: i registi di grido, cito De Sica e Visconti, non parteciparono a quella cinematografia da due soldi fino all'8 settembre 1943, quando, con la censura fortemente allentata, esplosero rispettivamente coi capolavori "I bambini ci guardano" e "Ossessione". De Sica, ci provò con filmetti scacciapensieri e nulla più. Perché "Treno popolare" è importante? Il Fascismo aveva sciolto i Dopolavori e li sostituì con l'Opera Nazionale del Dopolavoro: in pratica, assoluto controllo dei film gestiti da questo Ente. Non accorgendosi però, come nella pellicola in questione, di prendere una fregatura. Difatti "Treno popolare" mostra la gente normale italiana, quindi rappresentante l'intera nazione, che la domenica mattina si reca in gita da Roma ad Orvieto in treno. Matarazzo scelse con cura sopraffina una serie di persone dei più disparati ceti sociali [per la cronaca, nel film si vede il cartello degli orari della tratta Roma-Orvieto: andata, partenza alle 7.15, arrivo alle 9.42; ritorno partenza 19.54, arrivo 22.00]. Ecco, quell'Italia, con tanto di figliolanza al seguito, pranzo al sacco, pennichella pomeridiana sull'erba, ballo nel prato e in piazza, normali avventure e schermaglie fra i sessi, ragazze naturalmente impaurite, era rappresentata alla perfezione. Curiosamente, il regime approvò la proiezione in tutta Italia, ma poi si pentì: i gerarchi avrebbero voluto gli uomini con aspetto marziale! Il film, da un punto di vista storico, riveste una sua importanza. VOTO: 6

Martin Balsam e Albert Finney in "Assassinio sull'Orient-Express"
Martin Balsam e Albert Finney in "Assassinio sull'Orient-Express"
Martin Balsam e Albert Finney in "Assassinio sull'Orient-Express"

ASSASSINIO SULL'ORIENT EXPRESS, di Sidney Lumet - 1974 - con Albert Finney, Ingrid Bergman - Sean Connery - Anthony Perkins - Vanessa Redgrave - Martin Balsam - Jacqueline Bisset - Lauren Bacall - Richard Widmark - Jean-Pierre Cassel --- In una rassegna dedicata al treno, non può mancare la trasposizione cinematografica del romanzo forse più noto, insieme a "Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie. Alcuni aspetti del film sono importanti da rilevare, e raramente la scrittrice rilasciava interviste; per questa pellicola si sbilanciò affermando di sentirsi pienamente soddisfatta di quanto Lumet, dirigendolo, fosse pienamente entrato nello spirito della narrazione degli eventi. Una nota dolentissima: come purtroppo accade oggi sempre più spesso, del film è stato fatto qualche anno fa un remake, diretto ed interpretato da Kenneth Branagh e, fra altri, Johnny Depp. Poveracci: meglio metterci una pietra sopra, forse il romanzo non lo conoscono. Lumet ha sapientemente orchestrato un cast di protagonisti come raramente si è visto negli annali; cosa non facile per le gloriose carriere di ognuno di essi. Poirot poi, interpretato da Finney, è letteralmente strepitoso nella parte, specie nei suoi proverbiali scatti di rabbia. Il film regge bene anche l'eccessiva durata. VOTO: 8

I due protagonisti di "Stazione Centrale"
I due protagonisti di "Stazione Centrale"
I due protagonisti di "Stazione Centrale"

STAZIONE CENTRALE, di Yusuf Shahin - 1958 - con Yusuf Shahin, Hind Rostom, Fahrid Shawqi - Questa pellicola, che ha avuto purtroppo fin dall'inizio una circolazione in Italia travagliatissima, tanto ch'io sappia, prossima alla proibizione, è uno dei capolavori sconosciuti che permettono a noi occidentali di capire in fondo i risvolti sociali dell'Africa mediterranea. Esempio esemplare di quanto, per esplorare uno Stato di un altro continente (per esempio anche l'Iran) sia spesso indispensabile fare ricorso al Cinema. Siamo in Egitto ai tempi del presidente Nasser, che iniziava un lento e timido avvicinamento a quell'Europa che aveva considerata il naturale punto di riferimento per l'avvenire, col Canale di Suez presidio fondamentale da controllare e difendere. L'azione della pellicola è incentrata nella Stazione ferroviaria della capitale Il Cairo: il susseguirsi di treni che gravitano attorno ad essa quasi premono come una cappa sugli individui che transitano. La trama è semplice: lui è un poveraccio che riceve qualche spicciolo dal padrone dell'edicola della stazione; lei è una, come diremmo noi, imboscata che vende bibite nei vagoni; lui si infatua, lei lo respinge in modo sprezzante perché invaghita di un tipo losco.

Classico triangolo: la miseria che deriva non può che concludersi in modo tragico, con l'inevitabile sconfitta e alienazione mentale dello scontato perdente. La bontà del film non consiste nella trama, in fondo ovvia, ma nell'esplosione degli eventi. La filmografia egiziana del tempo era completamente differente dalla nostra: là le persone si muovono in fretta, nessuno sta fermo, tutti sono preda di scatti con un linguaggio convulso a voce alta. Lei, la donna, è da analizzare: sembra sfidare gli uomini, pare una femminista ante litteram, non ha paura di stare, per vendere le bibite, in mezzo ai maschi in modo che oggi definiremmo tendenzioso. Ma anche lei, in fondo, è una destinata alla sconfitta. Yusuf Shahin è al contempo regista e protagonista: impagabile la sua interpretazione, poche volte abbiamo assistito a perdenti come lui travolti e destinati alla sconfitta. Shahin al tempo ebbe seri problemi in Egitto per certi suoi comportamenti. VOTO: 10

Burt Lancaster e Jeanne Moreau in "Il treno"
Burt Lancaster e Jeanne Moreau in "Il treno"
Burt Lancaster e Jeanne Moreau in "Il treno"

IL TRENO, di John Frankenheimer - 1964 - con Burt Lancaster, Jeanne Moreau, Paul Scofield, Michel Simon - L'occupazione nazista della Francia con la guerra lampo ha dei risvolti che, giudicati oggi, si prestano a diverse interpretazioni, non essendo univoci. Sappiamo con certezza che il nazismo considerava i grandi pittori Illuministi, in special modo quelli francesi, fautori di un'Arte perversa: conoscendo gli ideali del nazionalsocialismo, non è una sorpresa. Parimenti, a dimostrazione di quanto la Francia in generale e Parigi in particolare avessero attratto l'immaginario collettivo dei nazisti, come la Storia ci ha trasmesso, il generale Dietrich von Choltiz, comandante della zona di Parigi e prossimo ad abbandonare la città, disobbedendo agli ordini di Hitler, dopo aver minato tutti i punti nevralgici, comprese le meraviglie della metropoli che tutti conosciamo, si rifiutò di distruggerla, salvando la Cultura universale. Il film in questione si interessa nei particolari al trasferimento in Germania da Parigi delle favolose opere degli Illuministi. Tale pellicola, superato abbondantemente il mezzo secolo dalla presentazione, non ha perso nulla dello smalto iniziale: rivisto oggi mantiene tutto l'entusiasmo che suscitò alla prima apparizione. Immagini e sequenze del tempo destano ancora meraviglia, oltre la quasi percezione, sostenuta da molti, che il film assomigli ad un vero e proprio documentario preso dal vivo. Merito di Frankenheimer, naturalmente, e di tutti i protagonisti.

Indimenticabile l'interpretazione di Lancaster nella sua strenua volontà di sabotare il treno diretto in Germania. VOTO: 10

Glenn Ford e Van Heflin in "Quel treno per Yuma"
Glenn Ford e Van Heflin in "Quel treno per Yuma"
Glenn Ford e Van Heflin in "Quel treno per Yuma"

QUEL TRENO PER YUMA, di Delmer Daves - 1957 - con Van Heflin, Glenn Ford, Felicia Farr - Questo film, definito a suo tempo un classico delle cosiddette "buone maniere", elabora senza naturalmente offrire certezze assolute un tema vecchio e destinato a non offrire risposte univoche: è possibile che due persone, di indole completamente diversa ed appartenenti a differenti schieramenti, possano nel proprio intimo rispettarsi l'un l'altro? Non si avrà mai una risposta soddisfacente. E'

il caso di questa pellicola che Daves diresse con magistrale geometria, spesso spostandosi molto in alto per riprendere sia gli uomini che gli elementi che gravitano attorno ad essi. Abbiamo un uomo (Heflin) dalla perfetta rettitudine con la propria famiglia al seguito, che ha il grave problema di trovarsi in precarissime condizioni economiche; il suo antagonista (Ford) è viceversa un poco di buono che viene catturato e deve essere spedito in treno a Yuma per essere processato. Non essendoci persone disponibili ad accompagnare nel viaggio in treno il malvivente, viene offerta una somma di denaro al primo, che accetta per necessità affinché sia lui la persona preposta. I due "avversari" si guardano, si scrutano, ed il delinquente quasi irride l'avversario, avvertendolo che nella stazione arriveranno i suoi scagnozzi per aiutarlo a fuggire.

Entrambi, nell'attesa del treno in notevole ritardo, per ingannare il tempo sono costretti a stare nella casa dell'onesto: entrano e sua moglie, pur sapendo di avere a che fare con un poco di buono, prepara il pranzo per tutti i presenti. Ecco: questo gesto magari poco significativo fa scattare la molla innescata nel cervello del malfattore, che ha pur sempre una sua filosofia; osserva tutti i componenti la famiglia e quasi si sorprende di essere stato accolto con un'umanità che mai si sarebbe aspettato. Rimangono memorabili, sembrano girate al rallentatore, le sequenze di questo squadrarsi vicendevole. Ed è in questi frangenti, impensabili in anticipo, che la mentalità del cattivo cambia. Arrivati in stazione, presenti gli amici che devono liberarlo, il poco di buono cambia registro e senso della sua vita: aiuta il buono a sgominare i compari, ed entrambi alla fine salgono sorridenti sul treno per Yuma. Solito post scriptum: anche di questo capolavoro c'è stato un ennesimo, insignificante remake, e purtroppo molti hanno abboccato. VOTO: 9

Il treno simbolo di "Snowpiercer"
Il treno simbolo di "Snowpiercer"
Il treno simbolo di "Snowpiercer"

SNOWPIERCER, di Bong Joon-ho - 2013 - con Edd Harris, Tilda Swinton, Chris Evans, Song Kang-ho, Ko Ah-sung - Prima di trattare il film, è fondamentale capire la teoria cinematografica del regista Bong Joon-ho.

Lui traduce nei film, sapendo di rappresentare la Corea del Sud, una sorta di "differenziazione" dei ceti sociali che inevitabilmente, col progredire degli eventi, tenderanno a venire in collisione in modo irreparabile. Esempio lampante è il suo capolavoro "Parasite", che molti ritengono utile vedere due volte, perché nella prima alcuni fondamentali spunti, anche microscopici, sono stati involontariamente trascurati. Non ha assolutamente sorpreso che a suo tempo anche Donald Trump abbia inveito per il Premio dato a "Parasite" ed abbia invitato, invano, gli americani a disertare le sale. Di "Snowpiercer" bisogna entrare nella morale che esprime, anche nelle sequenze che sembrano appartenere alla cartellonistica, ma con gli individui che ben esprimono coi loro sguardi anche atterriti di trovarsi, o essere reduci dall'inizio, a contatto con una catastrofe, e di essere i superstiti. Inevitabile la presenza dei buoni e dei cattivi, le differenze di ceto presenti, ma quel "treno" che corre all'impazzata possiede una sua "traiettoria" ben evidente ed inevitabile: dagli ultimi vagoni si avanza, in modo cadenzato, passo dopo passo, verso i primi e la motrice, dove avverrà la definitiva resa dei conti. Joon-ho esprime che la vita deve andare avanti. VOTO: 10

A cura di Mario Sconamila

Parte I
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