Il tennis è tornato di moda dopo decenni di oblio. Era dai tempi di Adriano Panatta e dei successi dei tennisti italiani negli anni Settanta del Novecento che questo sport non riconquistava le luci della ribalta sul palcoscenico nazionale. Merito delle vittorie di Jannik Sinner, di Matteo Berrettini e di un’intera generazione di giocatori capaci di fare sognare anche il pubblico solitamente non interessato a questo sport. Uno sport dalla lunga storia e nel quale l’essere umano riassume ed esprime tutto se stesso e il meglio delle proprie qualità. Sul campo di gioco ogni tennista, qualsiasi sia il suo livello, dimostra quello che è e quello che vuol diventare, risolvendo numerosi conflitti e sviluppando un gioco che dipende dalla somma o mancanza delle sue qualità. A raccontarlo è un libro che ricostruisce l’evoluzione del tennis dalle origini dell’uomo a Roger Federer: “L’ultima scimmia” (Hoepli Editore, 2022, Euro 27,90, pp. 224). Autori del volume, arricchito da decine di foto, sono Marco Bucciantini e Federico Ferrero, giornalisti e commentatori dei maggiori eventi tennistici per il canale Eurosport. A Federico Ferrero chiediamo cos’ha, a suo parere, il tennis di così particolare rispetto ad altri sport: “Più che di particolare, direi di unico perché è uno sport di lotta ma senza contatto, con regole di fair play sconosciute ad altre discipline. Uno sport che utilizza un attrezzo ma è estremamente fisico (diversamente da golf, per esempio), che chiede moltissimo anche alla mente perché costringe a risolvere problemi e imprevisti, frustrazioni e ostacoli in solitudine. Pur essendo una battaglia ha una sua eleganza difficilmente riscontrabile altrove: i gesti del tennis sono quasi da danza, soprattutto quando interpretati da alcuni atleti. Ed è anche uno sport estremamente crudele: nel calcio, se si sta vincendo 4-0 al novantesimo minuto, la partita è finita. Nel tennis si può essere in vantaggio 6-0 5-1 40-0, cioè a un punto dalla vittoria, e perdere”.

Qualcuno ha paragonato un match di tennis a una guerra... ogni incontro è un duello all'ultimo sangue?

“Esatto. Come dicevo prima, è una guerra ‘bianca’ perché non è ammesso il contatto fisico. Addirittura, ai tennisti sarebbe vietato discutere di eventuali problemi - chiamate sbagliate, comportamenti fastidiosi - l’uno con l’altro; dovrebbero esclusivamente rivolgersi al giudice di sedia. Il tennis è anche stato pensato in una maniera tale per cui ogni sconfitta è definitiva: se si perde la partita, addio al torneo. Però, altra differenza rispetto a molti altri sport, la settimana successiva ne inizia un altro. Certo, non sempre quel match è la finale di Wimbledon…”.

Nel libro parlate molto dell’evoluzione di questo sport: quanto i nuovi materiali - dalle racchette alle superfici - hanno cambiato il tennis?

“Moltissimo. I materiali - le corde ancora più delle racchette, perché la grafite spopolava già negli anni Ottanta e aveva soppiantato il legno - hanno spinto i tennisti a diventare superuomini, consentendo loro di tirare molto forte e di controllare meglio la palla. Gli attrezzi odierni somigliano ad armi, sono come automobili che riescono a garantire tenuta in curva ai trecento chilometri orari. Un tempo non era così: bisognava colpire perfettamente in centro la palla e, per esempio, le rotazioni di Nadal non si potevano applicare con un attrezzo antico. Le superfici sono state omologate: ora si palleggia dappertutto, erba compresa, e non esiste più una grande differenza tra i terreni. Cosa che ha permesso agli organizzatori dei tornei di avere sempre i più forti in finale, ma che ha sacrificato la varietà. Un tempo, il vincitore del Roland Garros poteva perdere al primo turno di Wimbledon contro un tennista serve&volley. Oggi no”.

Oggi conta di più il talento o la preparazione atletica?

“La preparazione. Il talento è difficile da definire, o meglio, ne esistono parecchi. Se si parla di talento manuale, cioè di talento tecnico, di sensibilità, continua a essere importante nel senso che aiuta molto un giocatore ma non si riesce più, ormai da tempo per il vero, a sopperire con qualità naturali alla preparazione. Dopodiché, esistono anche talenti atletici e talenti mentali. Alla fine, il tennis è uno sport di resistenza. Ci sono ragazzi molto dotati ma che non sopportano le rinunce, i sacrifici e le frustrazioni della vita da professionista, o che subiscono troppo le sconfitte – specialmente quelle crudeli, e ce ne sono tante nella vita di un atleta. Per cui, alla fine, oggi è meglio avere un po’ meno tocco di palla e un po’ più disciplina e fame di vittoria. Detto che tutti i tennisti di vertice sono atleti eccezionali, per uno o più versi, perché altrimenti non sarebbero lì dove sono”.

Descrivete uno sport che col tempo è diventato sempre più esasperato. In questo crescente bisogno di esasperazioni, è apparso Roger Federer, colui che definite “l’ultima scimmia”. È veramente il prodotto finale dell'evoluzione tennistica?

“Pare proprio di sì, nel senso che fa ciò che riusciva ai grandi di un tempo nonostante il tennis di oggi costringa a far viaggiare la palla a velocità siderali. Raccoglie in sé l’anima del tennis che è stato ed è riuscito a mostrarla agli spettatori del Duemila. Non esistono altri giocatori che abbiano avuto una tale concentrazione di qualità di gioco e di quantità di vittorie e di resistenza ai massimi livelli”.

Ma alla fine, se Federico Ferrero potesse scegliere, a quale giocatore vorrebbe somigliare?

“Sarebbe troppo facile dire Federer, quindi forse John McEnroe. Più che essere nella sua testa, che non deve rappresentare un’esperienza agevole, sarebbe bello poter dare del tu alla palla come faceva lui, decidere di fare una cosa e sapere che sarebbe accaduta, anche se si tratta di un colpo impensabile, di una traiettoria illogica. McEnroe è stato genio creativo, ha inventato un modo di giocare a partire dalla meccanica del servizio. Se non fosse stato abitato dai suoi mostri, avrebbe vinto ancora di più. Forse: perché, nel libro, ci spingiamo a dire che un giocatore è la somma e la sottrazione del suo essere e i ragionamenti ipotetici non funzionano. Tanti campioni avrebbero potuto fare di più, ma lo spirito di ciascuno è difficilmente modificabile da un ragionamento contabile. Se McEnroe si fosse dato una calmata, forse, avrebbe perso il piacere di giocare e avrebbe smesso prima. Chi lo sa”.

La copertina
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