C’è stato un tempo in cui indipendenza ed emancipazione per le donne sono state ancora più difficili di oggi. Un tempo neppure tanto lontano – solo qualche decennio fa – in cui per essere libere bisognava percorrere, per esempio, il cammino delle contrabbandiere.

Un cammino notturno e pericoloso, che però attira come una lampada fa con una falena la giovane Luce, nonostante il padre e il fratello continuino a ripeterle che quelle montagne non sono cose da ragazze. Luce però è pronta a sfidare divieti e pregiudizi e a percorrere il sentiero ripido e impervio che si snoda tra rocce e crepacci fino alla Cima delle Anime, unendo due terre di confine. A sostenerla nella sua decisione è Thomas, un ragazzo senza un passato né un luogo a cui tornare. Luce sente che con lui esiste un legame speciale, profondo come le radici di un albero. Quello che però non può sapere è che Thomas custodisce un segreto che proietta un’ombra cupa sulla sua vita. Un segreto che appartiene al passato ma che anni dopo, su quello stesso misterioso sentiero, intreccerà la vicenda di Luce e Thomas con quella di un bambino scomparso e di un uomo pronto a tutto per ritrovarlo.

Dopo I bambini di Svevia (Garzanti, 2020) Romina Casagrande torna a fare luce su una pagina della nostra storia rimasta troppo a lungo nell’ombra nel suo nuovo romanzo "I bambini del bosco” (Garzanti, 2021, pp. 352, anche e-book). E lo fa dando voce a donne di cui si è perduto persino il nome e raccontandoci le loro conquiste.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A Romina Casagrande chiediamo allora come è nato questo nuovo romanzo in cui storia e narrativa si intrecciano in maniera indissolubile?

“Questo romanzo nasce dalla curiosità verso un territorio, il mondo di confine e delle mie montagne, quelle dell’Alto Adige, che insieme alla natura ancora selvaggia di alcune zone conserva tracce stratificate e nascoste del passaggio degli uomini attraverso i tempi. Quella del contrabbando è una storia spesso declinata al maschile e credo che la sua restituzione manchi a volte di una visione più rappresentativa. Scoprire personaggi femminili, donne che nel contrabbando hanno trovato insieme ai sentieri di montagna una chiave per emanciparsi, per essere ricordate da leggende e ballate e scardinare dall’interno, con arguzia e coraggio, tutti gli stereotipi che hanno sempre ingabbiato il femminile, è stato fondamentale per decidere di scriverne un romanzo”.

Chi è Luce? 

“Luce è un’adolescente che cerca il proprio ruolo in una famiglia di maschi, cercando riconoscimento, ma soprattutto affetto, e il suo posto in un mondo che cambia molto in fretta, eppure ancora in bilico tra diverse possibilità: la città e le sue promesse, la montagna e la sicurezza dei boschi in cui è nata, il nuovo e le tradizioni. La madre se ne è andata lasciandola priva di una figura femminile di riferimento se non la nonna che però Luce guarda con diffidenza perché rappresenta per lei la passività a cui è relegata la donna: costretta ad aspettare l’uomo, i figli, a curare e accogliere, senza possibilità di crescita e realizzazione personale. C’è, sul fondo, una grande paura di perdere le proprie radici e al tempo stesso come una vertigine che spinge i personaggi a lanciarsi per abbracciare ciò che ancora non si conosce. La Storia, gli avvenimenti degli anni Settanta, irrompono con irruenza nella vita di Luce e della sua famiglia. Sono eventi politici, piccole e grandi rivoluzioni, che però Luce vive dalla sua prospettiva di adolescente”.

Perché la scelta per lei di un nome così particolare?

“Il suo nome è musicale, apre un’immagine di speranza. È la luminosità che si cerca quando si resta tanto tempo nel bosco. E ti colpisce più forte quando la trovi dopo tanto buio. Ti ferisce gli occhi e fa così male che all’inizio non la percepisci come qualcosa di buono. Succede così, a volte la fortuna, la luce, non sappiamo riconoscerla subito per quello che è. Abbiamo bisogno di abituare lo sguardo, concentrandoci sul presente”.

Cosa incarna il personaggio di Thomas?

“Thomas è il ragazzino selvatico che si nasconde nel bosco per sfuggire a una notte terribile da cui però è impossibile liberarsi e che gli resta dentro, feroce e indicibile come un segreto. È l’inganno di un mondo declinato al maschile che falcia tutto ciò che viene tacciato di debolezza, tra cui una sensibilità spiccata o la semplice espressione dell’emotività. Sono tratti che appartengono a Thomas e che è costretto a nascondere. È impacciato, insicuro, ha paura di molte cose e molte ne sbaglia. Per questo ogni sua decisione è ancora di più una testimonianza di coraggio”.

Cosa rappresenta il bosco?

“Il bosco è da sempre luogo di rifugio per i reietti – concreto o metaforico - sacco amniotico per coloro che nella società non riescono a integrarsi o che dalla società vengono respinti e allontanati perché diversi. Il bosco protegge, nasconde. Ma, al tempo stesso, incute paura, perché non sai cosa si nasconda davvero fra le sue ombre. E la fantasia corre, riempie i vuoti, crea una propria mappa geografica lì dove i confini tra luce e ombra, conosciuto e nuovo, sono più incerti e indefiniti”.

Il suo stile e la sua scrittura appaiono diversi rispetto al precedente I bambini di Svevia. Sembra esserci uno stile più partecipe, evocativo, più disposto a far trasparire le emozioni dell'autore... ha "sentito" in maniera diversa questo nuovo romanzo?

“La storia raccontata nei Bambini di Svevia viene vista e narrata dalla prospettiva dei bambini. Mantiene in sé, nell’esposizione, qualcosa di semplice, trasognato. Protagonista qui invece è il bosco con la sua saggezza, il suo trascendere il tempo e le vicende umane. Credo che questa prospettiva abbia influenzato anche la scrittura”.

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