La critica – Sono sicuro che al termine di questi miei interventi su L’Unione Sarda riguardanti le nostre maggiori colpe storiche – le quali giungono fino ai nostri giorni attraverso il fallimento dei due cosiddetti Piani regionali di Rinascita (1962 e 1974) – qualche conterraneo mi avverserà risentito affermando che ciò che ho scritto su noi Sardi “pocos, locos y mal unidos” (pochi, dissennati e divisi) non è vero, e che per pura polemica ho messo in luce solo gli errori e mai le cose da noi ben fatte, i risultati positivi. Purtroppo, in tutto l’ampio arco della nostra Storia, profondo ben novemila anni, studiato durante tutta la mia attività accademica, non ho mai trovato una qualsiasi azione, un semplice episodio individuale o collettivo realizzato bene da noi Sardi. Non c’è. Se, al contrario, qualcuno, più bravo e più informato, lo conosce, per favore me lo segnali, ed io sono pronto a fare pubblica ammenda.

La proposta – Però, sarei il primo a censurarmi se mi limitassi solo ad evidenziare i nostri errori storici, e non proponessi come proiettarci nel futuro senza più sbagliare, almeno nell’ambito della cultura che è il seme dell’intelligenza. Il problema è dato dal rapporto: Sardegna-Italia, ovverosia, dal nesso fra la Nazione sarda insulare e la Nazione italiana peninsulare (nella quale oggi siamo inglobati come etnia).

Senza andare molto oltre nel tempo, la connessione sperequativa nasce nel 1847 con la “Perfetta fusione” quando rinunciammo alla nostra identità statuale e ci fondemmo, senza sostanziale contropartita, col resto continentale del Regno di Sardegna. Già da allora diventammo una semplice regione, un’appendice territoriale dello Stato unitario; diventammo, in pratica, un esotico possedimento coloniale in mezzo al mare.

L’effetto divisivo si ampliò nel 1861 con la conquista e l’annessione degli Stati preunitari da parte del Regno di Sardegna e il conseguente allargamento della ecumene statale a tutto il resto della Penisola. Ed è tuttora così.

Per risolvere il divario alla radice (la politica regionale lo può solo attenuare ma non soluzionare) ci sono solo tre vie da seguire: o intraprendere una impossibile guerra d’indipendenza, o rivendicare il nostro ruolo primario nell’essenza dello Stato del quale siamo tutti cittadini (e questo è possibile, volendo), o non far nulla, come in effetti facciamo, per cui rimarremo così passivi e colonizzati per tutti i secoli a venire.

La soluzione storica – Come al tempo di Gigi Riva che nel ’69-70 ci fece diventare per la prima ed unica volta i primi della classe in Italia, ammirati e rispettati da tutti, in egual modo la “Dottrina della Statualità” – se correttamente applicata – ci farebbe diventare la prima e più importante regione dello Stato, almeno nella considerazione sociale, se non anche politica, con comprensibili ricadute positive in tutti i campi della vita.

Sennonché, la condizione primaria per raggiungere tale scopo deve essere quella che, oltre a noi adulti, tutti gli allievi delle nostre scuole di ogni ordine e grado imparassero la Storia d’Italia politica, militare, artistica, letteraria, ecc., ma vista della Sardegna e non dalla Penisola com’è ora, Dopo di ciò, passare ad immettere questi valori sardi nell’Italia continentale, e augurarci che vengano capiti e recepiti.

È un sogno, il mio; ma viviamo anche di sogni.

Francesco Cesare Casula

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