Giovanni Gentile (1875-1944) è stato sicuramente uno dei protagonisti più singolari e controversi del Ventennio fascista. Nel 1922, quando Mussolini prese il potere con la marcia su Roma, andava oramai per i cinquant’anni ed era considerato, assieme a Benedetto Croce, uno dei massimi intellettuali italiani e uno dei maggiori esponenti di quell’Italia liberale che il fascismo mirava ad abbattere.

Nel giro di pochi mesi divenne il più influente intellettuale dell’Italia littoria, legando il suo nome a una storica riforma del sistema scolastico, all’Enciclopedia Italiana e mettendo a disposizione del Duce la sua cultura vastissima e la sua abilità di divulgatore.

Mimmo Franzinelli, nel suo recentissimo "Il filosofo in camicia nera” (Mondadori, 2021, pp. 384, anche e-book), delinea, sulla base di una ricca documentazione, proprio la parabola gentiliana dal momento in cui il fascismo prese il potere fino all’uccisione di Gentile avvenuta per mano dei partigiani nell’aprile del 1944.

Il quadro decritto da Franzinelli è quello di un uomo e di un intellettuale animato da un forte protagonismo e da un inestinguibile desiderio di potere. Spinto da questa indole, Gentile ricoprì innumerevoli cariche di alto rilievo durante il Ventennio e grazie alle posizioni occupate fu uno dei grandi protagonisti della stabilizzazione del consenso verso Mussolini e il suo regime. Come sottolinea Franzinelli fu, infatti, Gentile ad elaborare nel 1925 il Manifesto degli intellettuali fascisti e a predisporre il giuramento di fedeltà al fascismo imposto ai professori universitari nel 1931. E fu sempre Gentile a organizzare le maggiori iniziative editoriali di propaganda del regime e a sostenere le politiche mussoliniane anche quando queste non potevano che sfociare in guerre e lutti per l’Italia.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Nel libro però, oltre alle compromissioni e alle scelte di campo di Gentile - nette e mai rinnegate - emerge anche la figura di un intellettuale complesso, convinto che il fascismo potesse portare a compimento quell’unità nazionale avviata nel Risorgimento e mai completata dall’Italia liberale.  Un intellettuale immerso, però, nel mondo culturale italiano che salvo poche eccezioni – la più famosa è certamente quella rappresentata da Benedetto Croce – era più propenso al compromesso che alla battaglia per l’autonomia di pensiero. Un mondo intellettuale subdolo e cortigiano che vide in Gentile il proprio punto di riferimento quando il filosofo era in auge, ricavandone favori, prebende e denari per poi abbandonarlo al proprio destino quando lo stellone gentiliano cominciò a declinare, dopo la caduta del fascismo nell’estate del 1943. Gentile scelse anche allora di rimanere accanto a Mussolini, forse perché convinto di potere ancora svolgere un ruolo di grande saggio moderatore in un’Italia avviata alla guerra civile. Pagò fino in fondo le sue scelte, dimostrandosi comunque migliore dei tanti che lo avevano idolatrato negli anni Trenta per poi voltargli le spalle nei momenti bui.

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