C'è una data che ricorda ogni anno a tutto il mondo la pagina terribile dell'Olocausto ed è il 27 gennaio, il giorno, cioè, in cui le truppe dell'Armata Rossa aprirono finalmente le porte di Auschwitz. Una celebrazione istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2005 che è ormai diventata l'occasione per iniziative ed eventi internazionali, a perenne memoria di quanto accadde a milioni di innocenti nei campi di sterminio nazista.

Anche la Sardegna ha pagato un tributo di sangue alla seconda guerra mondiale e al dramma della deportazione, tra ebrei, prigionieri politici e militari che rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò. Tra loro figurano quegli isolani che si spesero a vario titolo per aiutare i perseguitati dal nazismo e meritarono per questo il titolo di "Giusti tra le nazioni", istituito nel 1962 dallo Stato di Israele.

Tante storie personali, di dolore e coraggio, ribellione e impegno che la storiografia continua a raccogliere, prima che il tempo impedisca il racconto diretto degli ultimi testimoni. Il valore della memoria, che spinge i sopravvissuti delle deportazioni a tenere vivo il ricordo, soprattutto di fronte alle generazioni più giovani.

Un po' come ha fatto per anni Vittore Bocchetta, classe 1918, sassarese di nascita, antifascista della prima ora, partigiano, deportato nel campo di Hersbruck e poi esule in giro per il mondo fino alla rinascita come artista e accademico, e oggi testimone e portavoce di quelle vittime "politiche" della furia nazista. Una vita fuori dal comune raccontata in tanti documentari e nella biografia di Giuliana Adamo Vittore Bocchetta. Una vita contro (CUEC Editrice).

Il quadro di Bocchetta "Le docce"
Il quadro di Bocchetta "Le docce"
Il quadro di Bocchetta "Le docce"

La Giornata della Memoria è una celebrazione piuttosto recente: perché c'è voluto tanto a istituirla?

"La ragione più semplice è che viviamo una lunga stagione senza guerre, ma serve ricordare sempre le pagine crudeli della storia, come appunto quella nazista, e serve anche ribadire la minaccia fascista, che esiste ancora".

Alla base di questa minaccia c'è ancora la questione razziale?

"Ho cent'anni e ormai vedo le cose da un'altra prospettiva, diciamo più lontana, e credo che il vero traguardo sia quello di arrivare a una sola razza, i tanti colori si confonderanno, e le razze in evoluzione millenaria e in fusione continua spariranno. Senz'altro ci sono corsi e ricorsi storici, ma oggi a parer mio c'è qualcosa di più preoccupante della questione razziale".

E cioè?

"Credo che la questione più grave sia la vittoria assoluta di un capitalismo fine a se stesso, quello dei grandi imperi e delle super potenze, Stati Uniti e Russia su tutti, che manovrano le nazioni in virtù delle loro sterminate ricchezze, o di un presidente americano che ha come unica dote quella di esser milionario e può decidere i destini degli altri. Sono loro che dominano la storia attuale".

Ma non la spaventano i rigurgiti di destra europei? Dalla Le Pen in Francia a Orbán in Ungheria, dalla Polonia all'Austria…

"Quando sono tornato dalla prigionia, nel giugno del '45, pareva che l'Italia e l'intera Europa fossero minacciate dal pericolo rosso, dall'incubo del comunismo… Poi tutto sfuma, perché tendiamo ad annullare la nostra memoria".

Un ritratto giovanile di Bocchetta
Un ritratto giovanile di Bocchetta
Un ritratto giovanile di Bocchetta

Quindi non vede il rischio che la storia possa ripetersi?

"Per il passato abbiamo il dovere di ricordare, per il presente quello di mantenere sempre vivo il nostro spirito critico ed esprimerlo. Quanto al futuro, un vecchio proverbio diceva 'fammi indovino e ti farò ricco': nessuno può mai sapere in quale direzione vada la storia, oggi come allora".

Il suo senso critico durante il fascismo le è costato prima il carcere e poi l'internamento nel lager di Hersbruck

"Una pagina gloriosa per me e tutti coloro che hanno lottato e hanno reagito in modo attivo contro chi voleva toglierci il diritto alla libertà e alla vita stessa. Quanti ne ho visti di antifascisti torturati, uccisi e consumati dalla prigionia, persone eccellenti che se fossero vissute sarebbero state figure importanti della nostra storia nazionale… Sono loro che hanno bisogno di esser onorate e che spesso vengono dimenticate".

Ci vorrebbe una Giornata della Memoria anche per loro?

"Ho rotto con l'ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati) per questo, per aver detto che si sono dimenticati di quella parte di vittime dell'antifascismo politico e per aver chiesto che celebrazioni come questa si estendessero anche a loro e non solo alle vittime della persecuzione razziale".

È sempre andato controcorrente, arrivando a toccare pure il 'santino' della Resistenza

"È il destino di tutti i ribelli, la rivoluzione finché esiste è produttiva, poi a un certo momento diventa reazione, e rischia di diventare peggio del male che ha combattuto. Senza contare che la storia può esser bugiarda e descrivere un'Italia piena di partigiani che non corrisponde a quanto avvenne nella realtà".

Il lager di Flossenbürg, di cui Hersbruck era un sottocampo
Il lager di Flossenbürg, di cui Hersbruck era un sottocampo
Il lager di Flossenbürg, di cui Hersbruck era un sottocampo

Per questo se ne andò dall'Italia nel dopoguerra?

"La prima ragione fu la miseria, poi il mio continuo non allineamento, quello che definirei un neutralismo in senso morale, quando vidi quanto accadeva nelle commissioni per l'epurazione, le vendette personali e le violenze contro alcuni sostenitori de L'Uomo Qualunque, per cui peraltro non avevo nessuna simpatia politica. Un fenomeno da prendere molto sul serio, invece, nato perché anche l'ultimo gradino sociale potesse dire la sua, secondo quell'esigenza critica che si ripresenta storicamente, e che oggi potrebbe avere il volto del Movimento 5 Stelle".

Dopo per lei ci furono l'Argentina di Perón e il Venezuela di Pérez Jiménez, non proprio paradisi...

"Diciamo che dall'inferno del campo di concentramento sono passato al purgatorio, quello dell'America Latina degli anni '50, dell'Argentina di Perón e soprattutto della signora Evita, e della dittatura di Jiménez. Due Paesi che continuano a pagare per gli errori del passato: il primo è arrivato persino a fallire, e il secondo resta ancora il luogo selvaggio che era, stretto attorno alla città di Caracas e ai suoi 12 mesi di splendida primavera. E non sono sorpreso della loro situazione attuale, non riescono ancora a contare, nemmeno sulle proprie risorse".

E poi il grande salto negli Usa

"Dal purgatorio al paradiso, e per ironia del destino grazie a una moglie tedesca che mi ha permesso di avere il visto di ingresso. Quel mondo, dove il vero miracolo è stato proprio l'immigrazione, mi ha dato la possibilità di lavorare come artista, di scrivere e poi di diventare un docente universitario. Opportunità che in Europa forse non avrei avuto".

Una mostra di Vittore Bocchetta al Ghetto degli ebrei
Una mostra di Vittore Bocchetta al Ghetto degli ebrei
Una mostra di Vittore Bocchetta al Ghetto degli ebrei

Infine il ritorno in Italia e l'attività nelle scuole per ricordare la Resistenza e la deportazione

"Ho continuato a farlo fino allo scorso dicembre, ora capirà, a cent'anni mi sono fermato".

È anche tornato più volte nel campo di Hersbruck

"Là c'è la mia opera d'arte Ohne Namen, ci sono tornato fino all'anno scorso e devo dire che da parte tedesca trovavo un grande sforzo di perdono e un senso di vergogna per il proprio passato. Anche se, mi lasci dire, è un popolo che conosco anche per ragioni familiari e credo che continuino a ritenersi superiori agli altri, a muovere le redini dell'Europa e, quanto a noi italiani, a considerarci una loro 'colonia'".

E l'Italia che ha ritrovato com'è?

"Un'appendice del mondo, ancora divisa e con poca memoria storica".

Vale anche per la Sardegna?

"La Sardegna è un discorso a sé, sono fiero di essere in parte anche sardo e lo rimarrò finché muoio. Più che fratellanza quella sarda è un'identità, usando una provocazione li definirei 'banditi', nel senso che preferiscono esser banditi piuttosto che sudditi, orgogliosi senza esser ribelli. Un popolo speciale".

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)
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