Lui è un insegnante, un ceramista, uno scultore, ma anche l'autore di uno dei più attuali e utilizzati testi sulla ceramica.

Lei, purtroppo non c'è più. Ma era una donna speciale .

Si sono incontrati a casa di Lei per una chiacchierata: Lui chiedeva, Lei rispondeva, lentamente, aggrappandosi a frange di ricordi.

Edoardo Pilia ha incontrato Emilia Palomba, classe 1929, nel marzo del 2018.

Capelli bianchi tenuti fermi da un cerchietto, un grande fermaglio a chiudere il vestito scuro. Tra le mani nervose un paio di occhiali da vista: "Ci vedo poco, e ci sento anche poco, abbia pazienza".

Lui, poco incline alla tecnologia, tiene in mano una videocamera a nastro magnetico. Emilia è di fronte alla finestra, in pieno controluce: pessima inquadratura. Ma il suo viso è chiaro, voce un po' insicura ma appassionata quando parla di ceramica.

"Da piccolina ho capito che ero più portata per i rottami che per i libri di favole" racconta "mia madre mi rimproverava sempre perché quando mi portava a passeggio non facevo altro che raccogliere rottami per strada… butta via quella robaccia, mi diceva, prima o poi ti verrà il tifo".

Ma la piccola Emilia era troppo affascinata da quelle forme incomplete, accartocciate strane, le stesse che, più avanti, nella sua esistenza, avrebbero ispirato centinaia di opere.

"All'età di 9 anni mia madre mi portò a Oliena, c'era la guerra e tante famiglie cagliaritane erano sfollate. Lei è giovane -dice rivolta all'intervistatore- non può sapere com'era Cagliari in quel periodo. Mia madre aveva amici a Oliena e siamo rimasti in paese per qualche anno e fu lì che vidi per la prima volta quelle donne in costume, che poi rappresentai nelle mie prime opere: donne che portavano l'acqua, che cullavano i loro figli, sedute, che lavoravano. Ero una bambina e le imitavo, ero affascinata dai loro movimenti" All'inizio il suo racconto è disorganico. Le domande di Edoardo rimbalzano sul suo racconto che va a vanti senza curarsi minimamente dell'interlocutore. "scusi Edoardo... è che ci sento poco" Il prof cerca di riportarla con garbo ad un ordine cronologico un poco più rigoroso e finalmente riesce a inquadrare il racconto.

"Da Oliena siamo rientrati a Cagliari per qualche anno, poi mia madre è rimasta vedova e ci siamo trasferite a Roma, dove aveva degli amici. Fu qui che continuai gli studi e scoprii la ceramica. Un mio insegnante, (e si ferma a pensare, ma non ricorda il nome) mi propose di mandare avanti il suo piccolo studio in via Margutta, così, per diversi anni mi sono occupata del suo forno. Ho imparato tanto e ho capito che quella era la mia strada".

Emilia Palomba aveva circa 14 anni quando si trasferì a Roma e rimase lì per qualche anno. Ogni tanto i ricordi si offuscano, non rammenta nomi, si confonde e giustifica con lieve imbarazzo: "scusi ma ho quasi 90 anni, è passato tanto tempo, non è facile ricordare…se me lo avesse detto prima mi sarei preparata!" sorride.

Ma continua lo stesso, con un sorriso timido focalizzando solo su quello che per lei resta chiaro, tra le nebbie del tempo.

"Ricordo che in via Margutta ho conosciuto un artista straordinario, scultore eccezionale, Pericle Fazzini, sono rimasta molto affezionata a lui".

Dopo qualche tempo "per smaltire una pena d'amore sono tornata a Cagliari.

Ho cominciato a lavorare con un piccolo forno fino a che, un giorno, mi dissero che c'era un signore che voleva parlarmi, si chiamava Badas" Siamo negli anni Cinquanta, l'architetto Ubaldo Badas, tra i principali promotori dell'I.S.O.L.A., era il delegato dell'Enapi, l'Ente nazionale per l'artigianato.

"Badas era una specie di orso, parlava poco ed era molto duro ed esigente. Mi chiese se ero disposta a partecipare a qualche mostra; e io dissi: sì certamente! Così è iniziata la mia collaborazione con Badas ed Eugenio Tavolara, anche se Tavolara lo vedevo poco perché stava a Sassari" E continua: "Le prime cose che ho fatto sono state le donne di Oliena.. di quelle non ne ho più. Le modellavo con atteggiamenti così naturali… con la corbula in testa, in chiesa quando si riunivano per dire il Rosario… le conoscevo benissimo, facevo anche vasi con merletti che ricordavano le loro camicette ricamate " Com'era il suo primo forno? Chiede Edoardo.

"Badas mi aveva fatto arrivare un forno elettrico dell'Enapi, non solo a me, tanti ceramisti lo avevano avuto. L'ho sistemato in giardino… era enorme così ho iniziato a darmi da fare. Lui veniva spesso a guardarmi. Le prime mostre le ho fatte a Monaco negli anni Cinquanta, avevo circa 25 anni" Ubaldo Badas era molto affascinato dal lavoro della giovane Emilia: "I primi complimenti che ho ricevuto erano di Badas… mi diceva che per acquistare le "bianche" di Emilia Palomba (donnine di Oliena rivestite di smalto bianco) le tedesche andavano prima che aprisse la mostra. Così pian piano ho iniziato a sentirmi più sicura, fare esperienza e produrre. Fino ad oggi. Produco ancora, anche se sento poco e vedo poco… ma le mani le uso ancora. Ho poca sensibilità in due dita della destra ma sento il disegno attraverso i polpastrelli. Ora (marzo 2018) sto facendo collane… e quante cose ancora voglio realizzare... Tra un mese compio 89 anni, ma il lavoro è l'unica cosa che mi rende felice. Riesco ancora a fare quello che mi piace fare". Prima del forno dell'Enapi che forno utilizzava? "C'era una fabbrica di mattoni a Cagliari, una fornace: io portavo lì le mie cose, mi aiutava mio fratello. Partivamo carichi di oggetti dal laboratorio, mio fratello ancora se lo ricorda. In quel periodo abitavo in via Abruzzi, in mezzo alla campagna, c'erano le vigne di mio zio, attraversavano tutto viale Elmas. Nella zona alta c'era la fornace… Non avevo nulla in quel periodo, usavo solo le mani" Come nascono le sue collane? "Negli anni Cinquanta le donne erano molto eleganti un giorno m'invitarono ad una festa e non avevo gioielli da indossare, allora mi sono fatta una collana di ceramica che ha destato l'attenzione di tutti. Mi presentai con questa cosa grossa collana al collo ed ebbe un grande successo. Negli anni cinquanta collane di ceramica non ce n'erano -puntualizza- Vorrei chiudere una mia mostra proprio con una serie di gioielli in ceramica e argento. Perché fanno parte dei miei ricordi: i rottami che raccoglievo durante le passeggiate con mia madre. Quello che faccio io è tutto molto naturale, pieno di ricordi che ancora oggi sono innovativi. Amo le cose spontanee, loro non sono mai scontate". Non ha mai pensato a fare solo scultura? Perché ha scelto l'artigianato? "Ho scelto l'artigianato perché dovevo vendere. Erano morti i miei genitori…Nessuno avrebbe mai comprato una scultura. Ma se su una scultura mettevo un paralume diventava una lampada e la gente la comprava. Così sono passata a produrre oggetti d'uso" .

Qual è il suo ricordo più emozionante? La giornata passata con Grace Kelly: "La principessa aveva visto un mio servizio di piatti in una casa di Londra, in occasione di una visita alla moglie di uno scienziato (non ricorda il nome) alla quale chiese il mio indirizzo. Così venne a trovarmi. L'incontro è stato strano. Mi telefonarono una mattina e mia sorella pensava fosse uno scherzo. Io comunque per sicurezza avevo fatto riordinare un po' il laboratorio. Nel pomeriggio mi chiamano per dirmi che stava arrivando la principessa: tutta via Abruzzi era bloccata dalla Digos, e non facevano passare nessuno… neppure me! Mi hanno fatto passare solo quando ho detto che ero io Emilia Palomba e che la principessa stava venendo da me!" Com'era il servizio che Grace Kelly aveva visto a Londra? "Era un insieme di pezzi che s'incastravano, tutto fatto a mano, un lavoro lungo …ma di quelli non ne ho fatti più. Lei comunque scelse altre cose. Ne ho un ricordo bellissimo: era una donna meravigliosa così semplice, si rivolgeva a me per chiedermi consigli come fosse stata un'amica. È venuta due mesi prima che morisse. È morta quando io stavo esponendo al salone del mobile a Milano… ricordo di averlo saputo lì, per me è stato come perdere un'amica. Tutte le persone importanti di solito sono così: semplici".

Quali sono stati gli anni più belli nel lavoro? "Ho tanti ricordi quando esponevo a Milano: due volte l'anno, venivano molti arabi accompagnati da architetti italiani, compravano di tutto, erano proprietari di ville straordinarie. Acquistavano molte lampade. Ricordo anche una signora molto chic che volle portare le lampade in aereo con se, fino a Hong Kong. Non voleva che gliele spedissi. Tanti piccoli episodi. Un susseguirsi di successi. Partecipavo a tante mostre, molto apprezzati erano anche i miei animali, i ricci, i cinghiali.

Ma gli anni più belli della mia vita sono stati quelli in cui è nato mio figlio… che è stata la ceramica più bella…" e sorride. Ha conosciuto Maria Lai? "Si, venne a trovarmi perché voleva fare qualche ceramica, siamo diventate amiche, ma poi ci siamo allontanate, forse per questioni legate ai nostri fidanzati (io al tempo ero fidanzata con un avvocato e lei con il fratello, poi loro si sono lasciati e forse per questo ci siamo allontanate). Maria era incantata dalle cose che facevo io. Lei dopo avermi frequentato ha fatto una mostra. In quel periodo io stavo facendo un Cristo, a lei è piaciuto molto e gliel' ho regalato. Maria era poco più grande di me".

Ha ancora qualcosa di Maria Lai? "Fece la testina di mio fratello ma purtroppo è stata rubata (abbiamo anche fatto la denuncia). A me invece fece un ritratto. Ho trovato da poco delle foto e in questi giorni mi ha fatto venire voglia di farmi un autoritratto".

Lo studio è pieno di oggetti, vecchi e nuovi, foto di antiche sculture, testimonianze degli anni Cinquanta, di tutto un po'. E la telecamera svolazza qua e la senza una meta precisa, soffermandosi per un attimo sulla foto di tre donnine "bianche" di Oliena, quelle per le quali le tedesche andavano pazze: "Sì ecco sono quelle. Non usavo ingobbio, solo smalto bianco dato a pennello. Ora vivo in appartamento e non ne faccio più, sono grandi, difficili da realizzare".

Poi una strana lampada imponente che sembra di bambù: "Amavo il bambù, quelle lampade le ho fatte per casa mia… anche perché non le avrebbe volute nessuno".

Poi passa ai gioielli, ancora crudi, tutti in una scatola, da rifinire: "Questo va ancora scavato e bucato. Queste collane sono dedicate ai sassi della Sardegna con le forme più strane… immagini questi sassi tutti coperti in oro e tenuti solo da un cerchietto leggero, sono tutti diversi e spontanei. Ma non sono ancora finiti e già li sta fotografando, lei è il primo in assoluto che li vede, ma tra un po' li vedranno in tanti: ecco questi sono i sassi di Emilia Palomba, ce ne sono anche piccoli, anche perché non tutti vorranno mettere i grandi al collo! I rottami invece sono fatti in argento, cioè, io ho fatto la cera e poi li porto a fondere" Indossa gli anelli già pronti e quelli ancora in cera per mostrarli al suo intervistatore: "Ce ne sono alcuni enormi, vede? Ma le mie mani sono vecchie ormai… Ho il pudore delle vecchie ma sono anche molto grata".

Guarda gli anelli, li descrive, li ammira e aggiunge "Io amo le cose grandi e poi nella mostra è giusto che ci siano cose un po' vistose. Nella nostra isola abbiamo delle cose bellissime poi basta avere un po' di fantasia e nei sassi si può vedere di tutto".

Emilia Palomba è morta qualche mese fa, prima che la sua mostra potesse realizzarsi. Nota: La registrazione di questa intervista è di proprietà di Edoardo Pilia, scultore e ceramista cagliaritano, docente di Discipline plastiche al Liceo artistico di Quartu e autore di un volume sulla ceramica: "Ceramica Artistica, materiali-tecniche-storia".

"Sarebbe molto bello - commenta Pilia - se si realizzasse sia la mostra che un libro sul lavoro elegante, contemporaneo e originale di una donna di cui Antonio Sau, lo storico rivenditore I.S.O.L.A. di Porto Cervo, scomparso nel 2018 diceva: tutti s'innamoravano di Emilia Palomba. Tutti siamo stati in qualche modo innamorati di lei".
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