Anna Foa ha dedicato buona parte della sua carriera di storica allo studio dell’antisemitismo e a raccontare la storia degli ebrei in Europa negli ultimi duemila anni. È da sempre una voce attenta, equilibrata, capace di tenersi lontana dalle sirene delle opposte ideologie e scevra da ogni forma di oltranzismo. Per tutte queste ragioni la sua ultima fatica saggistica, Il suicidio di Israele (Laterza, 2024, euro 15,00, pp. 104, anche e-book), rappresenta uno strumento di approfondimento prezioso per chi crede che solo la politica e la diplomazia possano disinnescare la catena di odi e rancori che sta distruggendo la Palestina.

Anna Foa parte da alcune consapevolezze meditate e che non si prestano a fraintendimenti. La prima è che quanto successo il 7 ottobre 2023 con gli attacchi perpetrati da Hamas ha determinato un imbarbarimento senza precedenti del conflitto tra palestinesi e israeliani. Dopo quella data tutto è diventato possibile e i civili sono diventati obbiettivi di guerra al pari se non di più dei militari. Allo stesso tempo Foa ritiene che quanto sta avvenendo in terra palestinese sia il segno di una crisi profonda che Israele attraversa da anni e che ora pare aver raggiunto il suo apice.

Prima del criminale attacco del 7 ottobre 2023, grandi manifestazioni chiedevano a gran voce le dimissioni di Netanyahu e del suo governo e il paese era praticamente bloccato. La risposta al gesto terroristico di Hamas con la guerra di Gaza ha da un lato rafforzato Netanyahu, ma ha innescato una spirale molto pericolosa per lo Stato israeliano: «Quello che succede oggi in Medio Oriente è per Israele un vero e proprio suicidio» scrive, infatti, Anna Foa «un suicidio guidato dal suo governo, contro cui – è vero – molti israeliani lottano con tutte le loro forze, senza tuttavia finora riuscire a fermarlo. E senza nessun aiuto, o quasi, da parte degli ebrei della diaspora».

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Da un lato, infatti, abbiamo l’involuzione del sionismo o, meglio, dei sionismi: da quello originario della fine del XIX secolo, passando per quello liberale e favorevole alla pace con gli arabi, fino alla crescita del movimento oltranzista dei coloni e all’assassinio di Rabin. Dall’altro, il resto del mondo ebraico – la diaspora americana e quella europea – si confronta oggi con un crescente antisemitismo che, contrariamente alla propaganda di Netanyahu, non è la stessa cosa dell’antisionismo, inteso come critica alla politica del governo israeliano. Per Anna Foa, infatti, l’antisionismo è prossimo all’antisemitismo, ma non è la stessa cosa e i due atteggiamenti non possono essere equiparati. In un momento in cui le vittime di Gaza e l’estensione del conflitto al Libano e alla Cisgiordania accrescono nel mondo i sentimenti antisemiti è quasi impossibile non considerare le responsabilità dell’attuale governo israeliano nel favorire questa crescita con le proprie politiche. Per Anna Foa difendere la politica di Netanyahu senza alcuna critica, attribuirla alla necessità della difesa, considerare tutti i palestinesi terroristi sono molle che alimentano l’antisemitismo nel mondo. Viceversa, è necessario, secondo l’autrice del volume, opporsi a determinate scelte politiche senza timore di passare per antisemiti e denunciarne a viso aperto gli effetti disastrosi.

Per salvare Israele è necessario, infatti, contrapporre al suprematismo ebraico e al sionismo oltranzista, proprio dell’attuale governo Netanyahu, l’idea che lo Stato di Israele deve esercitare l’uguaglianza dei diritti verso tutti i suoi cittadini e deve porre fine all’occupazione favorendo la creazione di uno Stato palestinese. Qualunque sostegno ai diritti di Israele – esistenza, sicurezza – non può prescindere da quello dei diritti dei palestinesi. Senza una diversa politica verso i palestinesi Hamas non potrà essere sconfitta ma continuerà a risorgere dalle sue ceneri. E l’antisemitismo troverà sempre più benzina per autoalimentarsi.

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