«Ricordarlo con rispetto sì. Venerarlo no. Giorgio Napolitano è stato un protagonista intelligente ma non esente da scaltrezza. È stato il primo leader comunista a parlare un buon inglese e a convincere con la sua naturale eleganza e razionalità il segretario di Stato americano Henry Kissinger che i comunisti italiani non erano guerriglieri terroristi ma persone normali. Ammetteva con onestà i suoi errori e questa è stata la sua più pregevole qualità». È il ricordo di Napolitano che il giornalista Paolo Guzzanti consegna durante la visita all’Unione Sarda, prima di partecipare a Cagliari a incontri con i rappresentanti sardi del Pli di cui è vicesegretario (il segretario è il cagliaritano Roberto Sorcinelli) e di presentare nell’ex Blocchiera Falchi a Tortolì il libro “Silvio. La vita vera di Berlusconi”.

Lei ha conosciuto bene un altro presidente, Cossiga.

«Era il mio amico di telefono. “Pa’, hai visto che cosa ha fatto Occhetto? Io vorrei dire che è uno zombie con i baffi”. E io: “Francesco, il presidente della Repubblica non può esprimere un giudizio simile su un segretario di un partito”. Lavoravo a La Stampa, il giorno dopo sul Messaggero leggo il titolo: “Occhetto, zombie con i baffi”. Era un uomo fieramente sardo. Molto dolce e molto duro».

Perché il libro sul Cavaliere?

«L’ho scritto molti anni fa, poi l’ho rivisto e integrato quando è morto. Sono andato a trovarlo in occasione dell’ultimo ricovero. Avevamo litigato per le sue posizioni filo Putin, poi ci siamo riconciliati. La politica era morta con Mani Pulite e lui è stato una vampa di ribellione: ha portato l’Italia a sognare. È stato un personaggio spettacolare, ha incarnato l’italiano medio e l’italiano eccezionale».

Era molto legato alla Sardegna.

«Ero stato appena eletto senatore, mi occupavo del dossier Mitrokhin e di spie russe e lui mi chiese di guidare la commissione d’inchiesta su quella delicata vicenda. Mi ospitò nella sua villa per tre giorni: cantavamo e suonavamo canzoni francesi e mi regalò un paio di scarpe da trekking per indimenticabili passeggiate in diverse parti della Sardegna. Se penso all’Isola, mi viene in mente Berlusconi in quei giorni intensi e frenetici. Ricordi piacevoli, anche se aver presieduto la commissione Mitrokhin mi ha messo in una condizione che non mi aspettavo. Tanti dolori e attacchi ingiustificati. Ho visto cose che non avrei dovuto vedere. Situazioni che hanno alterato, non in meglio, la mia esistenza».

Come potrebbe essere la Sardegna?

«Poche regioni hanno un’identità così netta, “valiente”, come dicono gli spagnoli. Lo diceva anche Cossiga. La Sardegna è la regione in cui la distanza tra ciò che è e ciò che potrebbe essere è più ampia. Andiamo sul pratico: è una terra con un numero ridotto di abitanti e ampie porzioni di territorio non utilizzate, manca una politica dell’agricoltura moderna. Penso ad Israele, alla grande industria agricola non tradizionale, che si basa sulla tecnologia. Ma penso anche alla possibilità di creare turismo nelle zone interne. Ci sono potenzialità gigantesche che vanno sfruttate».

Il rapporto con il nuovo partito liberale.

«È scattata la scintilla. La scomparsa di Berlusconi lascia libero un campo non occupato né curato come si dovrebbe. Non vedo perché un rinnovato partito liberale non debba avere uno strepitoso successo».

Fa politica ma scrive ancora, per Il Giornale e Il Riformista.

«Sono felice di essere un giornalista, anche tornando indietro avrei preferito fare lo psichiatra».

Quale voto al governo?

«Ammiro la premier per la tenacia e la coerenza, che però non sempre è una virtù. Sarebbe necessaria una maggiore duttilità, la vedo troppo rigida in certi atteggiamenti. Ha una vocazione statalista, lontana dalla mentalità liberale di cui l’Italia oggi ha grande bisogno. Per ora lasciamo aperto il giudizio sul governo».

L’opposizione?

«Ridicola. Non c’è. Vengo dal partito socialista, c’è sempre stata la guerra tra riformisti e massimalisti. Elly Schlein ha deciso di interpretare l’area radicale che da sola non riesce a fare un governo con i riformisti. È così da un secolo. Gli italiani sono stanchi di una sinistra che discute ancora sulla sua identità. Ci vorrebbe una sinistra moderna che dovrebbe essere anch’essa liberale».

Memorabile la sua telefonata a “Quelli della notte” con la voce di Sandro Pertini.

«Quando lavoravo all’Avanti lui dirigeva Il Lavoro di Genova e veniva nella nostra redazione a chiedere pezzi gratuiti per il suo giornale. Un rapporto rispettoso e giocoso. Arbore sapeva dello scherzo. Io dissi (sembra di sentire Sandro Pertini, ndr): “Caro Arbore elogio il tuo umorismo, quando ero in Francia, nevvero, compravo Le Canard enchainé, settimanale satirico, e con i suoi fogli facevo il cappello di carta da muratore”. Una cosa leggera. Tutti ci hanno creduto. Un vero colpaccio».

Massimiliano Rais

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