Nel 2015 è stato pubblicato il libro di Giacomo Becattini e Alberto Magnaghi intitolato "La coscienza dei luoghi" nel quale si sostiene la tesi secondo cui i luoghi educano le comunità che li abitano. I luoghi, infatti, sono il risultato storico di processi cumulativi in cui saperi, culture, esperienze, tradizioni e simboli che influenzano le persone che in essi abitano sia in senso positivo (creando condizioni di arricchimento e crescita personale), sia in senso negativo (diventando invece elementi per la distruzione di valore).

La conseguenza è che abbiamo bisogno di luoghi che esprimano valenze positive mentre sarebbe il caso di rimuovere le altre, come ci ricorda la teoria delle finestre rotte, "una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali". In altre parole questa teoria afferma che se si vogliono evitare comportamenti sbagliati (atti vandalici, deturpazione dei luoghi, bere in pubblico, sosta selvaggia) occorre intervenire sia reprimendo comportamenti sbagliati sia educando a valori positivi.

In questo cosa c'entra la toponomastica? Ebbene, nel complesso dei saperi e dei simboli caratterizzanti un luogo, concorre anch'essa a educare la gente, in positivo o in negativo. I nomi delle strade, pertanto, non sono utili solo per orientarsi nello spazio sul piano geografico ma, se si ha consapevolezza, esprimono i valori che si reputano adatti a una società moderna e civile. Da qui emerge l'idea che intervenire sulla toponomastica non è solo un atto amministrativo, è una decisione che ha valenze sociali, culturali, e politiche.

Purtroppo in Sardegna vige una profonda "ignoranza" su molteplici aspetti (si vedano le statistiche OCSE riguardanti il confronto tra studenti sardi e delle altre regioni). Ignoranza che non è solo nella matematica o nella comprensione del testo ma anche della nostra storia, visto che a scuola siamo stati educati quasi tutti alla storia dell'Italia ma non a quella della Sardegna.

In questi ultimi anni, tuttavia, qualcosa è cambiato grazie a due circostanze: la pubblicazione del libro di Francesco Casula intitolato "Carlo Felice e i tiranni sabaudi" e la raccolta di firme intitolata "Spostiamo la statua di Carlo Felice: un'occasione per studiare la storia della Sardegna". Grazie a ciò anche nelle pagine di questo quotidiano si è aperto un dibattito avente a oggetto la toponomastica e l'opportunità, per esempio a Cagliari, di dare un segnale circa la "coscienza" che vorremo si avesse dei luoghi che abitiamo. Sotto questo profilo, seguendo i due contributi teorici citati all'inizio, sarebbe profondamente diseducativo per le generazioni attuali e future, mantenere strade intitolate a chi si è macchiato di nefandezze come Carlo Felice e i re sabaudi in generale. Purtroppo, in troppi ignorano la vera storia del re citato che, come scrisse Pietro Martini, storico di orientamento monarchico, fu gaudente parassita, gretto, che «avea poca cultura di lettere e ancor meno di pubblici negozi… servo dei ministri ma più dei cortigiani». Cambiare il nome all'attuale Largo per dedicarlo invece, come suggeriscono i promotori della petizione, alla data del 28 aprile 1794 (Die de su Popolu Sardu), avrebbe molti significati: culturale, politico e persino socio-economico. Sarebbe un'operazione di vero marketing territoriale posto che, questa decisione farebbe molto discutere e permetterebbe, quindi, di diffondere un pezzo di storia ignoto ai più.

Giuseppe Melis

Università di Cagliari

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