«Cara Unione,

sono un medico specialista sardo che, dopo anni di esperienza professionale fuori dall'Isola, sta valutando la possibilità di tornare a prestare servizio nella sanità regionale. Scrivo questa lettera mosso dalla preoccupazione per lo stato in cui versa il sistema sanitario della nostra regione.

Nel tentativo di riavvicinarmi gradualmente e in attesa di trovare un posto adatto alle mie competenze specialistiche, ho cercato di rendermi disponibile per turni di guardia medica e in pronto soccorso vista la grossa esperienza che ho maturato a margine della mia specialità anche nell’ambito dell’emergenza-urgenza.

Quello che ho riscontrato è un quadro sconfortante: il bando per l'affidamento dei turni in pronto soccorso, di cui anche voi avevate fatto menzione, giace inspiegabilmente fermo da due mesi, le richieste di chiarimenti all'ARES in merito vengono accolte con risposte superficiali e quasi infastidite denotando quasi un disinteresse nonostante l'urgenza di recuperare personale.

Ancora più sconcertante è constatare come le tariffe per le guardie mediche siano rimaste invariate rispetto a dieci anni fa quando ho iniziato io, ignorando completamente l'inflazione e il crescente carico di responsabilità che grava sui professionisti sanitari. È tempo di abbandonare la retorica della "vocazione" che troppo spesso viene utilizzata per giustificare condizioni di lavoro inadeguate e retribuzioni insufficienti.

La professione medica richiede anni di studio, aggiornamento continuo, sacrifici personali e familiari, oltre a comportare pesanti responsabilità. Tutto questo deve essere riconosciuto e adeguatamente remunerato. Come può la Sardegna sperare di attrarre e trattenere professionisti qualificati se non offre condizioni di lavoro competitive? Come possiamo garantire un servizio sanitario efficiente ai cittadini se non investiamo adeguatamente nelle risorse umane?

È giunto il momento che i cittadini comprendano una verità scomoda: i medici non sono affatto una casta privilegiata, ma al contrario sono tra i professionisti con il più alto carico di ore lavorative e, paradossalmente, con uno dei rapporti più bassi tra stipendio e livello di istruzione richiesto. Quando un paziente attende 12 ore in un pronto soccorso, la responsabilità non è del medico che sta cercando di gestire l'impossibile, ma di un sistema mal organizzato che ha fallito nella sua pianificazione.

La salute è un diritto costituzionale che va difeso e preteso nelle piazze e nelle sedi istituzionali: i cittadini devono alzare la voce non contro chi presta servizio in condizioni proibitive, ma contro chi ha permesso il deterioramento del sistema sanitario pubblico».

Lettera firmata (*)

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