"Cara Unione,

Il dolore di chi ama la Sardegna, guardando le immagini degli incendi, non può che appartenere a tutti coloro che adorano questa straordinaria terra, questo popolo la cui storia conosco, ho studiato, mi affascina. È la storia di una terra intrisa di soprusi, certo, dove tanti popoli hanno spadroneggiato, saccheggiato, rubato. E dove molti uomini politici capaci hanno invece reso la Sardegna luogo di intelligenze, di sapere: almeno in passato. Dunque, chi come il sottoscritto frequenta Ichnusa da oltre quarant'anni, non solo per lo splendido mare ma anche perché ha seminato buone amicizie, non può evitare di portare nel cuore un senso di tristezza e di disperazione per quello che è successo.

Ma gli incendi, le devastazioni cicliche del territorio non possono essere una riflessione unica: troppe cose non vanno, troppa assenza di interesse vero, da parte della politica, sta trascinando la Sardegna in un baratro pericoloso. Non possono bastare le bellezze naturali, non può essere sufficiente lo sventolio di bandiere dei Quattro Mori laddove si vendono prodotti naturali della buona terra sarda. Non si può – non si deve – che le risorse dell'Isola siano lasciate soltanto all'iniziativa di singoli, senza un vero progetto di rilancio dell'economia buona, delle risorse intellettuali (e ce ne sono, ne conosco molte), di un sistema che vada oltre le lottizzazioni e che concepisca la Sardegna come la regione dove abitano i sardi, la loro terra.

Così come non può essere rappresentata come il luogo dove il divario tra chi ha un'attività ricettiva sulla costa sia enormemente distante da chi - e lo abbiamo visto in queste ore -  armato di pochi utensili pensa di salvare quel poco che gli è rimasto dalla devastazione delle fiamme.

Di ingiustizie è pieno il mondo, si suol dire, ma tocca all'uomo rimuoverle. Rimuovere gli ostacoli nei confronti di chi protesta per la miseria del costo del latte, rimuovere gli ostacoli verso coloro che hanno diritto ad avere una sanità di eccellenza e non di dover montare su un aereo alla volta di strutture della Penisola.

Rimuovere gli ostacoli che giungono da una rete stradale non solo inadeguata ma soprattutto pericolosa. Non si può vivere in una terra così bella, ricca, onesta, sotto la minaccia di continui incendi, con il terrore negli occhi, sapendo che tutto è sempre più difficile da conquistare, e non importa se è un diritto costituzionale.

In occasione dell'alluvione che colpì Bitti – dove ho amici fraterni, cari – ho cercato di dare il mio contributo economico, una goccia nel mare. Oggi, per ciò che è accaduto agli amici dell'Oristanese, non so che cosa fare: so di poter fare poco. Ancora oggi, però, io mi ribello anche di fronte a questo, ovverosia che la solidarietà – in Sardegna come altrove – debba colmare inefficienze, mancanza di strategie, di visione in una logica povera di valori, di senso di appartenenza per il bene più grande di una  comunità, il diritto a vivere bene, ad avere servizi pubblici adeguati.

E allora, di fronte al video con le parole di Fortunato Ladu, due sono le emozioni che mi travolgono: la prima, data dalla forza umana di quelle parole: potenti, nette, disperate, dove la mia emozione ha vacillato; la seconda, che attraverso quelle parole, quei concetti, Ladu termini con quel ‘perdonu, babbu’. E allora mi chiedo, avvilito: per quanto ancora, i sardi dovranno chiedere perdono?

Maurizio Guccione - Lucca

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