"Cara Unione,

in Italia, negli ultimi cinque anni, i casi di tumore alla mammella sono cresciuti del 10%: erano 48.200 nel 2014, ne sono stimati 53.500 nel 2019.

Si tratta, secondo i dati forniti dall'Associazione Italiana di Oncologia Medica, della neoplasia più frequente non solo nelle donne, ma nell'intera popolazione italiana.

La mortalità, però, è in diminuzione in tutte le età, soprattutto nelle under 50, e questo grazie alla maggiore diffusione dei programmi di screening mammografico anche nella fascia compresa fra 45 e 50 anni, che consentono di individuare molti casi in fase iniziale, e ai progressi delle terapie.

Il 7% delle diagnosi è legato a fattori ereditari, e un quarto di questi è determinato dalla mutazione di due geni, BRCA 1 e/o BRCA 2.

Per identificare questa particolare mutazione, che è nota anche per la campagna promossa e sostenuta dall'attrice Angelina Jolie, tanto che la mutazione in questione viene spesso e comunemente indicata come "mutazione Jolie", una via da seguire è rappresentata dai test genetici, oltre che da particolari percorsi di prevenzione – come i controlli regolari o, nei casi più estremi e come fatto dalla Jolie, dalla rimozione chirurgica del seno – su familiari delle pazienti già colpite.

Perché, allora, non portare alla implementazione e alla rimborsabilità di questi test e percorsi di prevenzione?

Sei regioni italiane si sono in questo senso già mosse (Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria, Piemonte e Valle D'Aosta), il mio augurio è che anche la Sardegna possa fare altrettanto".

Antonella Muscas - Cagliari

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