“Cara Unione,

scrivo, anche a nome dei miei familiari, per condividere la nostra esperienza e quella di nostra madre, ultranovantenne ricoverata all’ospedale Giovanni Paolo II° di Olbia (OT) per sei volte nello spazio di due mesi (dal dicembre al febbraio scorso), senza che le siano mai state somministrate le opportune cure palliative, per alleviarle gli atroci dolori causati dal male, incurabile, che progressivamente, le aveva leso importanti organi vitali.

Per noi figli era chiaro che nostra madre stava morendo, abbiamo dunque specificato che non volevamo nessun accanimento terapeutico, ma un aiuto per lenire le sue sofferenze.

Le nostre richieste e suppliche fatte sia in ospedale e sia al medico di famiglia per una terapia del dolore/cure palliative, sono purtroppo, rimaste inascoltate.

Durante l’ultima dimissione ci è stato comunicato che oramai non sarebbe durata più di 30 giorni, con il suggerimento di portarla a casa e farle sentire il nostro affetto e la nostra vicinanza.

Terapia consigliata dall’ospedale in caso di dolore prevedeva tachipirina e qualche antinfiammatorio, nulla di più.

La disperazione ci ha portato a contattare un medico che non conosceva nostra madre, e ad esporgli la terribile situazione che stavamo vivendo, il suddetto medico, dopo essere venuto a visitare nostra madre ed avendone capito la gravità si è attivato con un’adeguata terapia del dolore.

Dopo 27 giorni di infinita agonia nostra madre è morta, il suo peso era di circa 25 chili. Noi familiari siamo stati presenti giorno e notte, angosciati e impotenti nel cercare di poter lenire, anche in minima parte, le sue sofferenze. Non occorre essere medici per capire che tachipirina e poco altro non possono certamente alleviare dolori atroci né spasmi insopportabili generati da organi vitali lesi dallo stato avanzato della malattia degenerativa.

Il nostro grande dolore non è stato solo la morte stessa che, in certe situazioni, rappresenta la liberazione da un grave stato di sofferenza fisica, ma siamo moralmente e psicologicamente distrutti per l’indifferenza, il cinismo e la crudeltà con cui è stata trattata nostra madre.

Lo strazio nel sentire le sue grida di dolore, le suppliche di aiuto, la nostra frustrazione per l’impossibilità di poterle dare un po’ di sollievo e dignità specialmente durante il suo ultimo mese di vita ci accompagneranno per sempre.

Tanto più dopo essere stati informati, da ambienti medici esterni all’ospedale, che in tali casi era doveroso e deontologicamente d’obbligo - morale e medico – somministrare le cure palliative del caso, onde accompagnare dignitosamente la persona verso la morte. Sentire le sue grida di dolore e le suppliche di aiuto, che rimarranno, per sempre, impresse nella nostra mente, accentuano la frustrazione, per l’impossibilità di non averle potuto dare un minimo di sollievo e di dignità durante il suo ultimo periodo di vita, caratterizzato da sofferenze atroci ed indicibili, senza che i medici curanti (il medico di famiglia e i medici dell’ospedale) adottassero le opportune cure contro il dolore (peraltro previste dalla legge).

Di frequente si sente parlare di casi analoghi, specialmente quando si tratta di persone anziane che vengono considerate come pazienti di serie B, proprio perché ritenute anziane o, peggio ancora, vecchie a cui, spesso, non vengono somministrate tutte le cure possibili per accompagnarli dignitosamente alla fine dei loro giorni di vita. Nonostante esista una ‘Carta europea dei diritti della persona anziana’, che sancisce il diritto di accedere alle cure palliative di fronte a mali incurabili che determinano la morte della persona dopo atroci sofferenze, i loro bisogni spesso non vengono tenuti in considerazione, così come non vengono tutelati i loro più elementari diritti di persone e di cittadini.

Va da sé che in mancanza di deontologia medica e altre inspiegabili ragioni, i pazienti e le loro famiglie spesso subiscono situazioni intollerabili per un paese che si ritiene civile. In tali circostanze, le giustificazioni (puerili) più ricorrenti sono i tagli alla sanità pubblica, la mancanza di personale e la carenza delle strutture.

Vogliamo rammentare il giuramento di Ippocrate: “Giuro di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale”.

Noi avremmo avuto bisogno di:

• Comunicazione empatica;

• Attenzione a una terapia del dolore per alleviare le sofferenze;

• Medico di referenza su cui far riferimento;

• Terapia del dolore efficace;

• Organizzazione della dimissione a domicilio, con infermiera e medico competenti.

Speriamo che questa nostra esperienza, che abbiamo voluto rendere pubblica, possa sensibilizzare, soprattutto scuotere le coscienze, per evitare che quanto è capitato a nostra madre e a noi figli non capiti ad altri pazienti e alle loro famiglie”.

Giovannella Piccinnu

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