«Cara Unione,

forse è tempo che sulla scuola si esprima chi della scuola, con preparazione e professionalità, ne fa parte. Perché ne parlano i comici, a sproposito in monologhi degni di risate rumorose, ne parlano gli imprenditori, a proposito del merito, che non sanno cosa sia, e ne parla anche il comune cittadino.

Nella vostra lettera recentemente pubblicata sul caso di uno zainetto dimenticato da un ragazzino durante una gita scolastica, con all’interno un tablet, una studentessa assiste da lontano ad un episodio e si sente in dovere di scrivere.
A suo dire tale episodio l’avrebbe fatta riflettere molto.

La prima domanda che mi viene da fare alla studentessa è se sia consapevole della responsabilità penale che due insegnanti si assumono quando escono con i loro studenti di 11 o 12 anni. Probabilmente no, perché non dice quanti sono i ragazzini, ma che le insegnanti sono due. Quindi presumibilmente gli studenti sono più di 15 perché la legge impone un rapporto legale per ogni uscita didattica di un adulto ogni 15 studenti.
Solitamente le insegnanti, almeno una settimana prima, indicano in forma scritta alle famiglie il materiale necessario per l’uscita. Non si parla certo di strumenti tecnologici costosi come iPad, tablet, telefonini cellulari o macchine fotografiche digitali. Come si potrebbe richiedere la responsabilità (e la sorveglianza) per i device privati di più di 15 ragazzini, fuori dalle mura scolastiche,ad un’insegnante che spesso, non dimentichiamolo, nel peggiore dei casi per almeno la metà delle ore in servizio durante le uscite didattiche non viene neanche retribuita?

Alla fermata degli autobus di solito non si fa una sosta e di solito i bambini non sono autorizzati a lasciare i propri effetti personali. Quindi uno sguardo meno superficiale si sarebbe chiesto: come mai il ragazzino aveva lo zaino poggiato sulla panchina, e solo lui l’ha scordato? Vogliamo davvero renderlo incapace piuttosto che disobbediente?

La disobbedienza può rientrare pedagogicamente nei diritti dei bambini: il diritto di sbagliare. Tutti i bambini hanno questo diritto e tutte le maestre dicono che solo sbagliando si impara. Eppure la maestra dovrebbe consolare le lacrime del bambino e comprensiva dovrebbe, secondo la studentessa, confortare e perché no magari anche rimediare sostituendosi al bambino, fermare la corsa pubblica di un autobus (e perché no anche il mondo!) per permettere a quel bambino di non piangere. Piangere fa parte della vita. La disperazione e la perdita sono apprendimenti. Una buona maestra lascia che un bambino pianga proprio perché il pianto è un’emozione come tutte le altre.

L’unico argomento valido della studentessa è il possesso dell’oggetto iPad. Bisogna rispondere senza titubanza che un bambino dovrebbe avere uno zainetto senza un iPad dentro. Proprio per avere il diritto di scordarlo. Uno zainetto da pochi spicci, meglio se di stoffa e di scarso valore, perché lui solo dovrebbe esserne responsabile.

Maria Montessori ci ha guidate verso la massima “insegnami a fare da solo”, educando anche coloro che meno di cento anni fa erano considerati ineducabili. Questo è stato possibile grazie alla non ingerenza della società in una professione così specifica da richiedere anni di studio e una CONTINUA formazione. Se i genitori del bambino di cui si discute sapessero cosa sono i “sacrifici”, di certo non fornirebbero tale strumento il giorno della gita scolastica ad un figlio che possiamo dedurre perlomeno distratto.

La gratuità di questa mia affermazione è legittimamente causata dalla gratuità di tutti i presunti obblighi che la studentessa assegna alla maestra, tra i quali la sorveglianza del frutto dei sacrifici famigliari. Sostenere in modo subdolo che sgridare un bambino lo possa condurre al suicidio è un modo diffamante di porre la questione: le pressioni erano esercitate dal sistema scolastico o dal possesso di un oggetto costoso? In questo caso specifico la risposta è scontata.

Ammesso e non concesso che questa studentessa abbia visto una scena e la descriva in modo oggettivo, non si più dedurre nulla sull’operato di tutti gli insegnanti. 

Infine aggredito verbalmente cosa significa? Significa che le insegnanti hanno compiuto realmente una aggressione? La studentessa conosce il significato della parola aggressione? Hanno usato davvero contro il bambino violenza ed aggressività? L'hanno offeso? Oppure hanno alzato la voce con un tono di rimprovero? Allora chiediamoci quale ondata di odio sociale stia dietro alla dichiarata volontà di confondere rimprovero con aggressione. I limiti tra questi due comportamenti sono ben definiti per legge: una aggressione è già di per sé un reato. L’attività educativa, poiché l’insegnante è educatore prima che insegnante, può implicare in situazioni specifiche la necessità del rimprovero con toni fermi e decisi, anche con un tono di voce alto. Questo funziona solo se accade raramente ed ogni educatore lo sa. Presumibilmente il device per cui il bambino piangeva era stato portato contro le indicazioni della scuola, ciò spiegherebbe i toni accesi delle educatrici-insegnanti, che non solo sono state svalorizzate nella comunità educante dalla famiglia del bambino che ha fornito il device, ma si sono trovate davanti ad un accadimento prevedibile: un bambino che scorda qualcosa da qualche parte.

Frasi come "arrangiati", per quanto infelici, non sono aggressioni. Per dire una frase come "la prossima volta non verrai in gita" nessuno ha compiuto un’aggressione verbale. Certo le colleghe avrebbero potuto evitare questa frase, ma dicendola non hanno compiuto nessun reato, nessuna aggressione.

Partiamo da questo punto: l’uso spropositato della violenza nella società che equivale ad una tolleranza molto bassa del rimprovero e della frustrazione. Partiamo da qui per riconciliare il mondo della convivenza civile fatta di regole sensate da rispettare, come quella di non dare ai bambini merci troppo costose, mai. Detto questo noi non sappiamo se quel piccolo insignificante episodio visto sia la chiusura di una giornata di litigi, di comportamenti sgradevoli verso i compagni, magari di gesti come buttare la carta per terra, calciare gli oggetti, ridere e non ascoltare, magari fare semplicemente ciò che si vuole senza pensare che la maestra non è li per fare il carabiniere personale di un bambino a cui vengono genericamente date poche regole di convivenza sociale e rispetto. E quel bambino sa bene che gli adulti di riferimento sono li per lui e con lui, proprio per questo può essere distratto: perché la responsabilità è degli adulti. Quel bambino è consapevole di avere comunque una famiglia (e una società intera) che lo difenderà, la stessa famiglia che gli fornisce oggetti costosi come un iPad, che sorride consentendogli di strappare le foglie degli alberi, di rompere gli oggetti, di sprecare risorse… perché ricordiamolo i bambini sono intelligenti e possiedono molte strategie di imitazione per quello che vogliono fare e di evitamento per quello che non vogliono fare.

Lo zainetto dimenticato potrebbe essere l'esito di un comportamento irresponsabile di un bambino di 11 anni che ridendo con i compagni, distratto, non sente la maestra che dice di prendere tutto, di mettere in spalla lo zaino perché si va via e sempre “eccitato a mille” come in un videogame, pensa sia più importante altro. Quale crescita può avere un bambino che non è capace di ascoltare? Quale crescita può avere in una società coccolante, dove un pargolo di 11 anni ha subito un sacco di adulti pronti a risolvere tutti i suoi problemi sostituendosi a lui, come se non potesse essere capace? Se un bambino di 11 anni è capace di usare un oggetto dovrebbe almeno essere capace di esserne responsabile. Chi 15 anni fa avrebbe detto le stesse cose per un album di figurine?

Ogni volta che ci sostituiamo ai bambini, ai ragazzi, li trattiamo da incapaci e loro non hanno la possibilità di imparare. Di imparare anche che si possono perdere gli oggetti e non è piacevole.

Chiedere a un bambino di 11 anni di essere responsabile dei suoi averi non mi sembra un reato. Mi sembra un'opportunità per lui, per la sua famiglia e per il mondo. Infine, io sono una tra le “figure che lo stato mette a guidare questi giovani ragazzi”. Ho una laurea specialistica, ho fatto l’educatrice con la disabilità a Bologna per dodici anni, ho lavorato con L’Istituto Cavazza per non vedenti, con la Dott.ssa Clò sul metodo ABA, ho una laurea quinquennale in Scienze della Formazione Primaria, parlo correttamente al livello B2 la lingua inglese e la lingua francese, farò il prossimo concorso perché a 38 anni sono ancora precaria. Mi rifiuto di lasciare questo paese e mi sto formando per fare ricerca in ambito pedagogico/didattico.
Quali referenze cita la studentessa? L’empatia chiamata dalla comica Littizzetto?

Ricordiamoci che la pedagogia o è una scienza oppure non serve a molto, si può farla finita con questo atteggiamento opinionista della generazione cresciuta “a social e tronisti”, crescere e studiare leggi, storia e coltivare la propria curiosità con argomenti più intelligenti e lungimiranti del proprio personale ombelico?

Con cordialità e senza rancore, certa di aver reso pubblico servizio».

Maestra Milena Musu

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