“Cara Unione,

sono una cittadina italiana di 37 anni che lavora e paga un mutuo come la maggior parte delle persone, ma che si sente una cittadina di ‘serie B’.

Sono unita civilmente con un'altra donna con cui ho una relazione da 15 anni e abbiamo una vita normale, seppur agli occhi dello stato non siamo come tutti gli altri. Innanzitutto perché anche se l'unione civile di fatto ha quasi tutti i diritti e i doveri di un matrimonio, non è un matrimonio.

Certo, sono felice di avere dei diritti, ma mi sento sempre sotto un gradino rispetto ai cittadini ‘normali’, perché in teoria non posso chiamare mia moglie ‘moglie’, ma dovrei dire ‘la mia civilmente unita’.  Per ricordarmi sempre che per lo stato non siamo una vera famiglia.

Quando vado in giro ormai sono abituata da anni a non dare la mano o a baciarmi, perché rischierei guardi indiscreti o peggio. Ancora più difficile la situazione per le persone transessuali o ‘non binarie’ che hanno spesso gli sguardi di molti addosso.

Notizia dell'altro giorno è l'esultanza sfrenata per l'affossamento al Senato del ddl Zan. Non mi ha fatto tanto male la legge non passata, perché ci sono abituata ormai, ma la gioia nei volti dei politici nel negare una tutela alle minoranze.

Sono stufa di essere una cittadina di ‘serie B’, e rivendico il mio diritto di essere chi voglio e di amare chi voglio.

E lo stato ci deve tutelare perché noi siamo stanchi di aver paura e non ci nasconderemo mai più”.

Marina Bonzanini – Cittadin* di serie B

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