“Cara Unione,

sono un collaboratore scolastico assunto a tempo pieno con contratto Covid in una scuola della provincia di Sassari.
Ho lavorato con lo stesso tipo di contratto l'anno scorso, ma a tempo parziale. In ogni caso, per quanto la situazione fosse generalmente complicata, mi sono sentito fortunato di riuscire a lavorare e avere qualcosa di simile a uno stipendio, nonostante la massima aspirazione di un laureato (io come tanti altri che in questo paese non sono riusciti a trovare altro) difficilmente è quella di fare il bidello.
Poco importa. È sempre uno stipendio più che dignitoso che, considerando l'orario neanche troppo pesante (ho lavorato molto di più per molto meno), mi consente di fare altro, ad esempio studiare per un concorso pubblico.
L'anno scorso a fine novembre avevo già ricevuto il primo stipendio. Quest’anno è andata in maniera totalmente diversa. Sorvolo sul modo in cui viene gestita la situazione pandemica a scuola dove, anziché su poche e chiare regole, dobbiamo basarci su una matassa di norme confusionarie che cambiano troppo frequentemente. Si è consapevoli delle difficoltà del momento, ma bisogna anche ragionare in termini pratici quando si fanno le regole, assicurandosi per esempio che esse siano effettivamente applicabili da chi il lavoro lo vive quotidianamente.

Detto questo, premetto che anche quest’anno mi sono sentito fortunato perché in mezzora di macchina sono a scuola, per cui non sono costretto a pagare un affitto e non ho dovuto emigrare per lavorare (l'ho già fatto, e vorrei evitare di rifarlo), ma sono consapevole anche di tanti colleghi che per avere più possibilità di essere chiamati si sono iscritti in province molto lontane dalla propria residenza. Ma si sa, se ne vale la pena uno i sacrifici è disposto a farli.
Tuttavia non so quanto ne valesse la pena quest’anno. Tutti i contratti Covid del personale ATA sono stati stipulati inizialmente fino al 31 dicembre, giorno più giorno meno. Ufficiosamente si parlava di un probabile rinnovo, ma senza l'ufficialità ci si è messi l'anima in pace, per lo meno io. Poi verso novembre hanno iniziato a circolare notizie, anche da fonti istituzionali, sulla concreta possibilità di proroga dei contratti. Niente di certo, ovviamente. Ma da lì a far durare questa incertezza fino al 29 dicembre, praticamente il giorno prima della scadenza, ce ne vuole. A me non è cambiato nulla per i motivi giù spiegati, ma mi metto nei panni dei fuori sede che fino all'ultimo non sapevano se avrebbero continuato a percepire uno stipendio, se avrebbero dovuto disdire contratti d'affitto e rientrare a casa.
Tutto questo ovviamente senza vedere lo straccio di un centesimo. Perché il problema grosso è questo, fondamentalmente. Sta per finire il quarto mese di lavoro e non ho ancora visto uno stipendio, io e altre migliaia di persone.
Finalmente però arriva la conferma che verremo pagati a fine gennaio. Ed è qui che arriva la doccia fredda. Per motivi che non dipendono certo dal lavoratore, gli stipendi del 2021 che lo Stato paga in ritardo nel 2022 vengono tassati il doppio, per cui tra una cosa e l'altra io mi ritrovo con oltre 200 euro in meno al mese.
Ricapitolando, lo Stato mi assume, mi paga in ritardo e molto meno di quello che mi spetta. Poco importa se poi magari me li recupero con la dichiarazione dei redditi. Intanto il disagio creato a migliaia di persone è insopportabile.
Un ultimo appunto, migliaia di laureati hanno trovato lavoro come collaboratori scolastici. Lungi da me sostenere che un laureato non si può abbassare a fare il bidello (appena ho preso la laurea magistrale ho fatto l'operaio a 10/12 ore al giorno lontano da casa, quindi sono l'ultimo che si pone di questi problemi), ma chi governa dovrebbe farsi due domande, perché forse non ha capito bene tra quante difficoltà, delusioni, frustrazioni e disagi ci muoviamo noi membri di una generazione definita addirittura di bamboccioni e di choosy. Anche questo ci dobbiamo sentir dire.
Un cordiale saluto”.
Lettera firmata(*) – Sassari

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