A marzo del 2020, appena iniziata l'emergenza sanitaria, noi docenti, spinti dal nostro incondizionato senso civico, abbiamo affiancato immediatamente i nostri alunni e con loro le famiglie. Perchè l'abbiamo fatto?  Perchè volevamo mantenere un legame virtuale, visto che in presenza non era più possibile. Ci siamo inventati un nuovo modo di fare scuola, dapprima le comunicazioni avvenivano con WhatsApp, poi attraverso la piattaforma, non ancora istituzionale ma organizzata da noi.

Abbiamo garantito che non si interrompesse il diritto allo studio; abbiamo contribuito a mantenere l'equilibrio delle famiglie 

e con esse dell'intera società.

Io e le mie colleghe eravamo a disposizione tutto il giorno per registrare spiegazioni con programmi che non conoscevamo fino a quel momento, dare lezioni individuali in videochiamata per gli alunni in difficoltà, correggere compiti ogni giorno e rinviarli corretti affinché i bambini avessero sempre un feedback che a distanza è molto difficile dare.

Ci siamo dovute documentare, l'abbiamo fatto perché spinte dall'amore per il nostro lavoro. E così abbiamo continuato quest'anno, in presenza finalmente, ma con tutti i limiti dovuti ai dispositivi di protezione e tutte le regole connesse al piano di emergenza sanitaria per le scuole.

Perché racconto tutto questo? Perché ci ritroviamo a maggio senza uno straccio di vaccino che ci protegga, in un momento in cui

nella nostra città, Carbonia, ci sono diversi casi, proprio tra i giovanissimi. Tante scuole, tra cui la nostra, sono chiuse, ma a breve riapriranno.

Con quale spirito rientreremo a scuola? Tanti di noi hanno più di cinquant'anni, con patologie anche importanti che non vengono

riconosciute per essere considerati fragili, ma fragili in realtà lo siamo; spesso abbiamo a che fare con le nostre madri anziane, tutto ciò  ci fa rientrare a scuola con la paura e anche con la convinzione che ci sia una mancanza di attenzione e riguardo per la nostra categoria che ormai non viene più considerata a rischio. Ci sentiamo l'ultima ruota dell'ultimo carro visto e considerato che non solo nelle altre regioni, ma anche nelle altre provincie della Sardegna i docenti sono stati vaccinati. Vaccinarci non sembra un'impresa titanica, visto che siamo rimasti solo noi. 

Qualcuno che ha lavorato male nell'organizzazione delle vaccinazioni c'è senz'altro, altrimenti non ci troveremo nella situazione di elemosinare il vaccino.

Francesca Aresti

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