“Cara Unione,

chiamo Daniela, e sono una paziente oncologica. Oggi ho quasi 44 anni. All’età di 36, nel 2014, ho scoperto di avere un tumore.

Nonostante la giovane età, non ho voluto vivere l’esodo verso il nord Italia in cerca di qualcosa che sapevo di poter trovare qui. Mi sono messa nelle mani del dottor Dessena e del dottor Farci, che all’epoca lavoravano entrambi per l’oncologico. Il mio percorso è stato tortuoso, ho avuto altri due tumori e un totale di quattro interventi in meno di due anni.

Non smetterò mai di ringraziare i miei medici, perché è grazie a loro se ora sto bene. Purtroppo l’ultimo tumore, che è cresciuto sul gran pettorale (non avendo più il seno, precedentemente asportato) è quello che ha dato più problemi, rendendo la mia ricostruzione problematica e terribilmente dolorosa. Per due anni è stato un inferno, fino al giorno che per caso ho incontrato il professor Figus, del policlinico, che esegue (tra le altre cose) anche la ricostruzione con il lembo (metodo Diep).

Nel 2018, quindi, la mia vita ha finalmente iniziato la discesa. Ho riassunto questi lunghi e intensi anni per dire che, dopo altri quattro anni, il mio percorso non è ancora finito.

La mia domanda all’assessore alla Sanità Nieddu, è allora questa: a prescindere dal covid, che purtroppo ha gravato sulla sanità, me ne rendo conto, come mai un’eccellenza come il professor Andrea Figus non è messo nelle condizioni di svolgere al meglio il suo lavoro? Perché in Sardegna abbiamo la fortuna di avere un professionista di questo calibro, e ancora le donne sarde si trovano a credere che solo a Milano possono avere cure adeguate, non sapendo che qui abbiamo medici migliori? E ancora, perché in tante, troppe siamo in liste interminabili, in attesa di essere operate?

La parte ricostruttiva è integrata in tutto e per tutto nel processo di guarigione.

Caro Assessore, spero che questa lettera possa suscitare in lei delle giuste riflessioni: la mia è solo una testimonianza tangibile di quello che in tante viviamo.

Spero anche possa suscitare in lei un nuovo orgoglio, l’orgoglio di essere sardi, e la voglia di concedere a noi di poterci curare nella nostra terra, con accanto i nostri cari, non più spinte in un costante esodo.

Portiamo la nostra sanità a un livello superiore, diamo i mezzi e il personale adeguato a chi può fare la differenza.

Grazie dell’attenzione”.

Daniela

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