«Cara Unione,

sono nato in Sardegna nel 1951 e, successivamente, emigrato a Milano insieme alla mia famiglia nel 1964.

Quando un sardo, della mia generazione, arrivava nel porto di Genova e valicava l’appennino ligure, in lui si manifestava, immediatamente, in maniera ossessiva il suo attaccamento alla propria terra. Da quel momento in poi, volente o nolente, si diventava un’altra persona. Immaginarsi cosa fu per noi il mito Riva è facilmente intuibile…

Negli anni più recenti, precisamente nel 1993, ebbi modo di recarmi alla ITS Artea, Industria Tessuti Speciali Artea di S. Lorenzo di Parabiago. Fondata nel 1947 da Ferdinando Villa, a lungo presidente anche del Legnano calcio. Nel 1998 è entrata a far parte di un grosso gruppo industriale ma da diversi anni l'attività è cessata. L'area è diventata l'ennesimo esempio di industria abbandonata e vittima del degrado, recentemente ho avuto modo di passare davanti a questa azienda e non volevo credere ai miei occhi. Mi piangeva il cuore vederla così ridotta, ricordandola come la vidi diversi anni prima. Ci entrai per la prima volta nella prima metà degli anni Novanta, quando era nel massimo splendore. Clienti importanti nel settore tessile e tessuti speciali di prim'ordine, già entrare come visitatore in azienda era motivo di vanto e gli uffici, super curati, mettevano quasi soggezione. Era l'esempio di una azienda all'avanguardia e ben gestita, tutto merito del fondatore e patron, il dottor Villa, così veniva chiamato e conosciuto da tutti. Un uomo estremamente carismatico, una persona che dava fiducia a tutti e pensava che tutti dovessero avere una chance. Una sua filosofia che portò avanti anche come un uomo di sport. Nel breve incontro che ebbi con lui, iniziai prima di tutto ringraziandolo, lui rimase sorpreso non capendo il perché. Ribadii il concetto e continuai: “Grazie per averci dato, a me e alla mia generazione, un campione invidiato da mezzo mondo”. Gigi Riva il nostro "Rombo di tuono“, come lo definì Gianni Brera, sagace e famoso giornalista. Nonché scrittore.

Era stato il dottor Villa a scoprire il grande cannoniere quando era ancora dirigente sportivo del “Legnano Calcio” e nella stagione 1963/1964 cedette il suo cartellino e le sue prestazioni sportive al “U.S. Cagliari Calcio”. Diventando, da lì in poi, un vero e proprio mito per tutti gli appassionati e tifosi rossoblu. Diverrà uno dei più forti attaccanti italiani di tutti i tempi. Agli inizi degli anni Ottanta ero in compagnia di mio fratello, davanti allo stadio di San Siro. Mi ricordo molto bene, era una domenica pomeriggio, esattamente il quattordici febbraio del 1982, e la squadra di calcio per la quale ho sempre fatto il tifo, il Cagliari, aveva vinto con l'Inter una bellissima partita con tre reti nostre e una loro. Solitamente a fine gara, ogni qualvolta ci capitava di andare a vedere un incontro, ci fermavamo per scambiare quattro chiacchiere con i giocatori e, anche quel giorno, non si fece eccezione. La nostra sorpresa fu tanta quando vedemmo arrivare, nella nostra direzione il "mito", allora dirigente, Gigi Riva. Era la prima volta che mi accadeva di vederlo di persona, poiché una volta, a differenza di oggi, non capitava spesso di vedere il proprio beniamino e quando questo accadeva era un bel accadimento. Il parlare dal vivo con lui mi fece avere la percezione vera dell'uomo Gigi Riva. Grandi meriti sportivi ma, soprattutto, umani e morali. Strano a dirsi ma era un lombardo più sardo di tanti di noi e penso di non esagerare se affermo che è, senza ombra di dubbio, l'uomo più amato dai sardi.

C'è una cosa che mi colpisce quando lo sento parlare: ancora oggi si nota sempre la sua caratteristica inflessione lombarda di Leggiuno. Le sue radici vivono in lui ancora oggi, a distanza di anni. Arrivò in Sardegna nel 1963, l’anno prima della mia partenza per Milano.

Sapendo che nei pressi della sua abitazione sarda c’è un ristorante frequentato da Gigi Riva dove abitualmente si reca per mangiare gustosi piatti di pesce, pochi anni fa, mi trovavo a Cagliari con mio fratello Luigi e suo figlio Vincenzo, proposi loro di andare a pranzo in questo ristorante. La sorpresa che si ebbe quando entrammo fu tanta, tutte le pareti erano piene di fotografie, maglie e quant’altro potesse richiamare la sua presenza. In un angolo della sala un tavolo vuoto e sulla sedia un cartonato raffigurante un primo piano del nostro campione. Quel tavolo, ci fosse o non ci fosse, era riservato solo a lui.

Sicuramente la mia curiosità era di voler vedere l’ambiente dove lui si recava ma, in realtà, una breve conversazione con lui non mi sarebbe dispiaciuta, anzi l’avevo quasi auspicata. Purtroppo, mi dovetti accontentare dell’ottimo pranzo, tra l’altro offerto da mio fratello”.

Aldo Coni

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