«Cara Unione,
sabato sera scorso, in attesa dell'imbarco da Cagliari Elmas per Milano Linate, chiedo a un bar ai gate di riempirmi con acqua potabile del rubinetto il thermos, che avevo dovuto svuotare per passare i controlli di sicurezza.

Mi viene risposto dalle cameriere che la loro non ben identificata società proibiva loro di fare ciò, anzi, ridendomi in faccia aggiungono che loro l'acqua la vendono. Chiedo come si chiamasse la loro società ma non rispondono. Mi dicono che avrei potuto andare in bagno, il che non è proprio la stessa cosa.

Al mio accenno a fotografare il bar, mi dicono che sarebbe proibito, mi viene anche ripetuto.
Mi rivolgo a un secondo bar dove, da un aitante giovane cameriere, mi viene risposto che era autorizzato a darmi solo acqua bollente dalla macchina del caffè; me ne faccio mettere poca poca nel thermos ma, pur non avendolo chiuso, dopo un'oretta, al momento dell'imbarco, non era ancora bevibile. L'ho potuta bere all'arrivo.

Trovo della massima gravità quanto accaduto.
I prezzi di qualsiasi bar negli aeroporti sono ormai almeno doppi rispetto a quanto si trova fuori, acqua inclusa. A parte ciò, qualsiasi bar è anche un esercizio pubblico, e non dovrebbe essere permesso di negare un po' d'acqua potabile, tanto più che neanche l'ho chiesta nel bicchiere ma, anche se così fosse stato, dovrebbe essere considerato un obbligo darla comunque.
Gravissimo che del giovane personale venga diseducato dai propri datori di lavoro in tal modo e sollevato dall'adempiere il dovere minimo di dar da bere agli assetati.
La caduta nella reificazione totale dei rapporti umani è con ciò compiuta».
Carla Villa Maji

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