«Cara Unione,

leggo in questi giorni le cronache relative all’inchiesta per epidemia colposa che coinvolge anche l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza circa la mancata attivazione della zona rossa nella Bergamasca e l'assenza di un piano pandemico aggiornato con la diffusione dei primi contagi da Covid-19 in Italia.

Leggo anche della relazione tecnica di Crisanti, secondo cui se la zona rossa fosse iniziata il 27 febbraio si sarebbero evitate 4.148 vittime da coronavirus, se fosse partita il 3 marzo oltre 2mila.

Quello che mi permetto da osservare, e non certo da simpatizzante del Governo di allora ma da cittadino che proprio dalla Lombardia ha vissuto quei primi e angoscianti mesi di pandemia, è che chi oggi giudica ben dovrebbe considerare un contesto, quello di allora, come mai nessuno aveva né vissuto né tantomeno avrebbe potuto immaginare.

Con esercenti, ristoratori e imprenditori infuriati per la chiusura delle attività, con un virus di cui sino ad allora poco o nulla si conosceva. I politici in quei primi e concitati mesi si trovarono nel mezzo di una tempesta, in cui anche gli esimi esperti e virologi si dividevano circa le migliori misure da adottare. Senz’altro furono commessi errori, ma chi non ne avrebbe compiuti?

Ribadisco, da non simpatizzante di chi allora ci ha governato, e anche da cittadino che durante la pandemia ha perso più di un amico e un parente stroncato dal virus, provo più che qualche dubbio circa il fatto che un’indagine penale possa davvero chiarire le responsabilità ed arrivare a pene e condanne. E, anzi, quasi rabbrividisco all’idea che chi allora si è trovato a gestire una situazione forse anche al di là dell’umanamente possibile, debba oggi rispondere di reati come omicidio colposo plurimo.

Grazie dell’attenzione».

M.L. – Milano

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