L a vicepresidente del Coni Silvia Salis (alt, rispettiamo il tic delle testate isolane davanti a un cognome che suona di casa: Silvia-Salis-di-evidenti-origini-sarde) racconta che un tassista genovese ha rifiutato aggressivamente di farle pagare la corsa con la carta, spiegandole a brutto muso che “la pacchia è finita”.

Questo uso insensato di una formula ricorrente nel brutalismo di destra pone un dubbio. Ma non sarà che i nemici del Pos, prima ancora che aspiranti evasori, sono dei vecchi vittimisti? Saranno mica gli stessi che ieri, quando si poteva pagare solo cash, strabuzzavano gli occhi davanti una banconota da 20 euro porta per pagare un caffè, neanche stessi cercando di appioppargli conchiglie e perline? Ci tenevano tanto ad essere rapinabili a vista al portatore quando giravano a fine lavoro con una sporta di cartamoneta? Se la spassavano a farsi appioppare i pezzi da 5 euro rappezzati con lo scotch, o quelli da 50 falsi?

Non sarà che più della tracciabilità, a infastidirli della moneta elettronica è la presunta modernità, l’aria un po’ fighetta e tecnologica che li fa sentire dei boomer? Non sarà che un bel pezzo di Italia è retriva e sospettosa per principio – che si parli di Pos o di vaccini, di unioni gay o di Ius soli? Se siamo al culto kitsch del passatismo, dello strapaese e dei bei tempi, almeno chiamiamoli col loro nome. Contanti neomelodici.

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