N el cuore rovente di uno degli scorsi dopopranzo un uomo apparentemente maturo decide di fare due passi ai giardini pubblici con il suo cane, nonostante l’evidente scetticismo di quest’ultimo. Fra temperatura, umidità e colore l’effetto è quello di un tuffo in una tazza di tè verde appena versato. Perciò l’uomo al quattordicesimo passo decide che è tempo di sedersi su una panchina e spazzolare il cane. Sempre più lentamente, finché la spazzolata si trasforma in conversazione (agevolata dal fatto che l’apparato fonatorio del cane non gli consente di emettere l’insopportabile frase “guarda che questa me l’hai già detta”). Dopo alcuni aneddoti francamente gustosi padrone e cane affrontano a ritroso i dodici passi, ma al settimo arriva un giovane giardiniere su una silenziosa automobilina elettrica: “Scusi, sa che ore sono?”. L’uomo infila la mano nella tasca posteriore sinistra degli assurdi jeans invernali che ha addosso ma il cellulare (chi usa più l’orologio?) non c’è. Ce l’ha in pugno il giardiniere semovente, che con uno sguardo bonario glielo porge e sussurra: “Faccia attenzione”. Un gesto di garbo (perdere il telefono è un’amputazione ansiogena) condito da un pizzico di spirito: rinfrancante come un gelato al limon nel deserto. “Togo il tipo, no?”, sorride l’uomo maturo ormai di buonumore. Il cane non potrebbe ma fa spallucce lo stesso.

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