P rima l’ufficio postale, poi la banca, la scuola, il medico “condotto”, il negozietto, l’edicola, il tabaccaio e, giusto per gradire, nei piccoli borghi antichi si spengono anche le insegne dell’ultimo caffè. Il Ministero dell’Interno ha invitato i gestori di bar, ristoranti e discoteche a stipulare accordi per installare sistemi di videosorveglianza, divulgare un Codice di condotta, individuare un referente per la sicurezza del locale e garantire un’adeguata illuminazione delle aree in cui viene esercitata l’attività. Chi ci sta si accolla tutte le spese, in cambio eviterà la chiusura in automatico e la sospensione della licenza in caso di disordini. Siamo all’ossimoro del volontario-obbligatorio, del discostarsi nell’accostarsi al Codice penale. In Sardegna 316 paesi su 377 (8,4 su 10) sono al disotto di 5 mila abitanti, di cui oltre la metà con meno di 2 mila; tenere aperto un bar è servizio prestato alla comunità, se si aggiungono altre rotture la chiusura è obbligata. La Sardegna è una cartolina di luci e colori dove il bar è spesso l’unico centro di aggregazione sociale, l’oratorio laico dove ammazzare la noia tra uno scopone scientifico e antichi ricordi, un amarcord felliniano tra il vissuto e l’immaginario. In questi coriandoli di mondo il tavolino non è la birretta sotto le stelle; mutuando Vasco “Il Blasco” è l’equilibrio sopra la follia.

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