S arà che Putin ha sempre eccitato gli appassionati dell’uomo forte, gli amanti della politica muscolare, e che molti questo carisma cavernicolo lo subiscono ancora.

Sarà che nella nostra superficialità da sussidiario sfogliato in fretta noi per intere generazioni abbiamo visto l’Europa dell’Est come una complessiva poltiglia sovietica, ed eravamo così grati di essere capitati nella parte libera del mondo da considerare i blocchi, le sfere di influenza disegnate a Jalta come l’ordine naturale delle cose.

Sarà questo oppure altro, ma l’invasione dell’Ucraina per molti versi sembra un femminicidio su scala continentale. Per la concezione possessoria che l’aggressore ha della preda, per come le nega il diritto ad avere una personalità autonoma, per il ciarpame sentimentale di cui ammanta la propria smania di riconquista, per la gerarchia “naturale” che vuole ripristinare e per il “se l’è cercata, lo ha provocato” che dalle nostre parti qualcuno ancora biascica, colpevolizzando la vittima per come i suoi lamenti ci rompono le scatole e l’economia.

Non possiamo sapere come finirà questa guerra, né quando. Ma se finirà come deve, poi sarà giusto ricordarci chi – nell’informazione, nella politica, nei bar - veniva a raccontarci con lo sguardo smaliziato di chi la sa lunga che sostanzialmente Putin ha invaso l’Ucraina per troppo amore.

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