S ono 4.148, non uno di più non uno di meno. Per non avere messo tempestivamente in zona rossa un’area della Val Seriana dove più velocemente che altrove dilagò il Covid, Conte Giuseppe e Speranza Roberto, allora rispettivamente capo del governo e ministro della Sanità, sono accusati dalla Procura della Repubblica di Bergamo di «epidemia colposa aggravata e omicidio colposo plurimo». Si sostiene che il loro comportamento ha causato «4.148 morti in più». Questo numero così preciso indica certezza, non un’ipotesi. Non fuga però il dubbio: lo alimenta. Chi ha fatto la conta distinguendo i morti inevitabili da quelli provocati dall’inerzia degli accusati è un mostro di bravura in contabilità macabra. È facile oggi, con il senno di poi, fare i soloni. Conte e Speranza sono due avventurieri della politica, inabili e inetti a governare. Ma –va detto per onestà intellettuale- i loro scienziati di riferimento non li aiutarono: brancolavano nel buio, tiravano a indovinare, si contraddicevano a vicenda. Così quei due poveri diavoli sono affogati nel caos universale generato da una peste mai vista prima. Ora dichiarano, forse per ingraziarseli, di non temere il giudizio dei magistrati. Temeraria ingenuità. Diano retta a J. Luis Borges: «Per avere paura dei magistrati non bisogna essere necessariamente colpevoli».

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