C ’è chi parla il meno possibile, indica come destinazione un secco “Termini” o “Cassazione” e poi continua a monosillabi, e chi addirittura ha imparato a fare gli accenti di altre regioni. Di fatto, tradire le proprie origini sarde con un tassista romano è una gran fregatura perché significa trascorrere l’intera corsa a sentirgli rivelare che (1) egli adora la Sardegna, (2) ci va tutte le estati ovvero ci andava “ché ormai il traghetto costa una fucilata”, (3) ha una moglie (un cognato, un amico caro, un ex commilitone che se chiamava Puddu, un bracco) che viene dalla Sardegna, (4) impazzisce per i piatti tipici sardi, che elenca con più entusiasmo che precisione (il pane grattau, il suporceddu). Immancabile al punto 5 il pippone demagogico sull’ospitalità dei sardi, il loro senso dell’amicizia, la loro sospettosa fierezza e in genere le qualità che Tex ci insegnò ad attribuire agli Apache. E mentre corri in un silenzio ostinato verso Fiumicino pensi che quegli stereotipi bolsi non potresti sopportarli più, è vero, ma neppure smentirli: malvagio chi svela a un bimbo triste che Babbo Natale in effetti non esiste. E allora sbraita e debraia, fratello tassinaro, sardo immaginario, e intanto sogna un’isola selvatica e romantica dove si giura, si canta e se magna er pesce bbono. Domani nella battaglia dei clacson pensa a me.

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