C ome nei primi due casi, anche nelle foto del terzo round di negoziati fra ucraini e russi la prima cosa che colpisce è la differenza di look fra le due delegazioni. Bellico-rurale quello degli ucraini: niente galloni o pennacchi ma un diffuso verde tattico e maglioni spessi che potremmo aver occhieggiato tempo fa in qualche ovile, più il ricorrente tocco di bizzarria del tipo col cappellino da baseball. Insomma, il look di chi non è in guerra per finta.

Invece finge di non esserlo la Russia, così managerial-ministeriale in camicia candida, abito grigio scuro o blu, cravatta a tinta unita o a fantasie discrete. Una banda partigiana contro un consiglio d’amministrazione. E la cosa interessante è che noi sappiamo benissimo chi è l’aggredito con cui simpatizzare e chi l’aggressore da biasimare ma, essendo più abituati alle grisaglie che alle mimetiche, a colpo d’occhio sentiamo antropologicamente più vicini i russi.

Il secondo elemento che colpisce è che le due delegazioni si stringono la mano, e perfino con apparente cordialità. Tra un incontro e l’altro i russi massacrano civili ucraini e tradiscono gli impegni sui corridoi umanitari, ma gli uomini delegati a trattare si stringono la mano. E capiamo quanto abbiamo paura (dell’atomica prima che di ogni altra cosa) che ci sorprendiamo a considerarlo un microscopico segno di speranza.

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