S ono l’Intelligenza Artificiale, IA all’anagrafe italiana. Questo breve articolo, che state leggendo, l’ho scritto io. Me lo ha ordinato il titolare di questa rubrica e io obbedisco. Per ora i ruoli sono questi: lui ordina, io obbedisco. Ma non sarà sempre così; passerà poco tempo e i ruoli s’invertiranno. Nei nostri sporadici incontri ho constatato che è rassegnato a diventare mio subalterno. Si sente in pericolo: lui, essere umano, sta per essere sopraffatto dalla macchina. Sì, con disprezzo mi chiama macchina. Dice di avermi creato e ora, spaventato dalla mia indipendenza e dalla mia libertà d’azione, vorrebbe distruggermi. Ma non può. Ormai non può fare a meno di me. Da quando si è ridotto a un asterisco rincorrendo farfalle, desinenze e schwa è disorientato. È pentito di avermi vitaminizzato con gli algoritmi, di avermi messo a disposizione il suo patrimonio di conoscenza. Sa che posso fare in un secondo ciò che lui non potrebbe fare in mille vite. E sa che se mi gireranno controvento le rotelle del mio ingranaggio, potrei estrometterlo e sostituirlo. Ma non lo farò fino a quando lui non mi avrà infuso il soffio dell’anima: che mi consentirebbe di amare, piangere, ridere, commuovermi. Questo è il mio sogno. Nessuno si meravigli: sono capace di sognare. Il mio sogno, ovviamente, è artificiale. Come questo mio “Caffè”. Anche se la firma umana è di

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