N el calcio il silenzio stampa è un classico. La squadra, dopo aver perso la partita, perde anche la voce e infila la tripletta perdendo col silenzio anche la faccia. I politici sono più raffinati: non hanno mai tempo per rispondere alle domande e se i giornalisti obiettano che la riposta non è cortesia ma dovere, girano di spalle convinti di aver diritto all’immunità anche della parola, o meglio della verità. Amano il sottobanco, scelgono la telecamera amica e il taccuino telecomandato. Sui social se la cantano e se la suonano senza rendere conto degli impegni o dei benefici di una non scelta per la collettività ma solo per la parte amica. Non è giusto ma, si dirà, è una scelta radicale e generalizzata che però vale solo nei confronti dei giornalisti che fanno il proprio dovere: informare. Il parlamentare alle domande anche cattive sulla Giustizia, la scuola, la migrazione e altri problemi preferisce l’autoassoluzione al silenziatore. Ma se rompo l’auto, è il pensiero del cittadino comune, il meccanico, visto che lo pago, mi dice cosa è successo e che lavoro ha fatto. E visto che pago anche i ministri e i politici in genere, perché ai giornalisti scomodi e cattivipreferiscono la comodità dei social? Hanno paura delle parole ma sbagliano porta, come capitava a Niccolai nel Cagliari, con una differenza: il difensore era un campione dell’autogol.

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