S arà che subiamo tutti il fascino degli attonimi, i nomi che sembrano alludere al mestiere di chi li porta, e perciò ci demmo di gomito quando fecero Manganelli capo della polizia e padre Cantalamessa diventò predicatore della Casa pontificia. O sarà che abbiamo dato l’addio a un Papa celebrato per la capacità di farsi capire (celebrato da subito e fin troppo, e se non gli diedero il Nobel per la semiotica per essersi presentato dicendo “buonasera” fu solo perché non esiste). Sarà per questo ma da un cardinale stretto collaboratore del grande comunicatore Francesco e che per di più si chiama Parolin ti aspetti, appunto, competenza in fatto di parole. E quando leggi che davanti a 200mila fedeli ha detto che “Dio ha viscere di compassione e di tenerezza per ciascuno di noi” ti preoccupi, e molto. Viscere? Che aveva di sbagliato il buon vecchio “cuore”? Perché usare una parola viscida nelle assonanze e nel significato, una versione erudita di “budella” sempre associata a pulsioni ostili (“anticomunismo viscerale”) e alla paura? Sarebbe stato un errore anche anni fa, quando il digitale non aveva ridotto a un pulviscolo aneddotico la nostra attenzione. Si dice che Parolin potrebbe diventare Papa e che saprebbe farlo molto bene: nulla da eccepire, ma nel caso bisognerà trovargli dei buoni autori e un editor attento. Altrimenti, fratelli e sorelle, buonanotte.

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