C i sono fatti, avvenimenti, situazioni che, mentre accadono, consideriamo intuitivamente non tanto effimera cronaca quanto una tappa della grande storia in cammino. Ci fanno uscire dal nostro tempo lineare per entrare nel tempo ciclico dell’esistenza. Abbiamo la netta sensazione che attengano alla nostra essenza e al senso della nostra vita. È il caso, per noi cristiani e occidentali, della morte di un papa. Di ogni papa. Con lui se ne vanno, ma di fatto restano, le sue parole, i suoi gesti, le sue azioni, i suoi rimproveri, le sue indulgenze, le sue condanne. La sua dottrina. L’uomo di fede si sente smarrito nell’eterno presente della sua vita breve. Ha perso la sua guida e ne attende un’altra che gli indichi la strada dello spirito, dell’anima, della carne. Ogni papa ha additato un nuovo orizzonte, dove si mischiano credo religioso e azione politica, essendo sempre stato inestricabile l’intreccio fra cielo e terra. Le parole e l’opera di un papa, persino il suo pensiero teologico, che per i fedeli hanno il solo valore del loro significato esplicito, sono sottoposte a interpretazioni laiche, estensive o riduttive, e giudicate da chi vuole utilizzarle come spartiacque tra un prima e un dopo, tra il passato e il futuro. Spesso c’è una gara, una vera e propria contesa, per appropriarsene adattandole a idee e interessi di parte. È sempre accaduto. Sta accadendo.

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