I eri sul Corriere c’era una bella intervista a un notaio napoletano che da sette anni vive in un hotel a 4 stelle della sua città. Dopo la lettura restava un’invidia confusa. Intanto montava il dispetto un po’ piccolo borghese verso un signore che può permettersi una vita da cliente. Poi scattava la rincorsa a cercare - in una vita piena di pro, dalla camera rifatta al volo alla colazione impeccabilmente e quotidianamente servita – almeno qualche contro.

Per esempio la difficoltà di personalizzare il tuo ambiente più intimo, che non puoi ristrutturare e forse non puoi neppure appenderci un quadro, né riceverci il parentado. Ma visto che del quadro tutto sommato chi se ne infischia, e che spesso l’impossibilità di accogliere il parentado rientra inconfessabilmente fra i vantaggi, alla fine quel che restava al lettore a caccia di rivincite era una considerazione sola. Quella del notaio è una vita contraddittoria, un po’ straniante, quasi coraggiosa. Vive inamovibile in uno spazio non suo come un monaco di lusso. E lo fa nel luogo per eccellenza dell’umanità nomade, dove chi si trattiene per più di una settimana si sente un veterano. A pensarci veniva in mente, per molte ragioni, “L’amante senza fissa dimora” di Fruttero e Lucentini, un libro molto chic eppure di un romanticismo insuperato. Chi non lo ha letto lo faccia. Dopo sarà anche lui invidiabile, a modo suo.

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