H anno appiedato Giuseppe Conte. Poveruomo, gli hanno smontato il giocattolo, sua massima consolazione dopo la defenestrazione dal Palazzo. Cavaliere dell’ideale con mille grilli per la testa, era montato su un cavallo a dondolo da lui stesso fabbricato, così come Geppetto da un tronco di legno intagliò Pinocchio. Come il burattino si mostrò irriconoscente nei confronti del suo padre creatore, così quel cavalluccio si è rivelato bizzarro, tanto da disarcionarlo. Da fantino a fante, per non dire fantoccio. Giuseppi si era convinto di essere un condottiero alla testa di un esercito di coleotteri che avevano invaso la politica. Sicuro d’essere un giurista che si districa abilmente tra codici e pandette, forzò regole e statuto: in piccolo, ciò che Napoleone fece in grande per proclamarsi imperatore dei francesi. Si nominò Conte dei grilli e pretese ossequio e obbedienza. Tutto durò il tempo di un sospiro. Molti dei suoi sudditi lo rifiutarono, i più duri e puri lo accusarono di usurpazione. Il provvedimento di un magistrato ora lo ha retrocesso. Un rinculo dopo il colpo di cannone. Da avvocato degli italiani a avvocato della causa persa. Quando aderì alla fede dell’Uno vale Uno certamente si domandò: ma Uno quanto vale? La risposta sta nella sentenza del tribunale: talvolta Uno vale niente.

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