V incitori e vinti. Questa volta c’è poco da giostrare con sofismi, bizantinismi e virgole. È chiaro chi ha vinto, è chiaro chi ha perso. Chi non si rassegna dice che ha vinto il diavolo. Anche alcune cancellerie socialiste d’Europa hanno espresso timori sulla competenza di chi è stato designato a governare l’Italia: le stesse che erano state zitte quando il timone era stato affidato a un azzimato signore con pochette venuto dal nulla. Persino Di Maio, dopo la sua sconfitta plebiscitaria, è stato lapidario: niente scuse, abbiamo perso. Il ministrino degli Esteri, per evitare la condanna a morte inflittagli dal giustiziere Conte, è fuggito dal covile dei grilli e ha fondato un suo partito: “Insieme per il futuro”. Resosi conto che il futuro non è più facile da coniugare del congiuntivo, dopo tre settimane ne ha partorito un altro: “Impegno civico”, uno schioppetto a salve con cui è andato alla conquista spericolata di uno scranno a Montecitorio. Per salvarsi ha stretto alleanza con la vecchia volpe Fregoli Tabacci, che lo ha portato a proteggersi sotto l’ombrello bucato di Enrico Letta. Dopo un volo d’angelo sulle braccia dei pizzaioli del suo collegio elettorale è caduto eroicamente sul campo. Finisce con lui il tempo dei grilli al potere. Ora è tempo di Meloni. Auguriamoci che siano maturi.

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