C he Mario Draghi sia apprezzato dalla comunità internazionale non ci sono dubbi. In Europa gode di grande credibilità e altrettanto si può dire al di là dell’Oceano Atlantico. Infatti, il quasi ex presidente del Consiglio italiano è stato premiato a New York. Nel suo discorso, Draghi ha parlato di «dialogo ma senza ambiguità, perché le autocrazie prosperano davanti alle esitazioni». La ricetta del banchiere prestato alla politica è piaciuta alla platea della 57ª edizione dell’annual Awards Dinner della “Appeal of Conscience Foundation”, la fondazione che gli ha conferito il premio World Statesman (“Statista dell’anno”), che prima di lui hanno ricevuto diversi capi di Stato e di governo, da Gorbaciov ad Angela Merkel fino a Shinzo Abe. Lusinghiere le parole della laudatio di Henry Kissinger che ha consegnato il premio a Draghi: «Il suo coraggio e la sua visione faranno sì che resterà con noi a lungo». Sì, è proprio lui. Kissinger, il campione di democrazia e libertà che, in combutta con la Cia, nel settembre del 1973 organizzò un golpe guidato dal generale fascista Pinochet per rovesciare il governo di Salvador Allende eletto democraticamente dal popolo. Ecco, fossi in Draghi quel premio lo conferirei al più vicino centro di smaltimento dei rifiuti.

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