S ui giornali dell’altro ieri i puntini di sospensione, l’equivalente grafico della manina che copre la boccuccia per fermare la parolaccia, li usavamo nel riportare le intercettazioni con gli sfoghi irriferibili dei mafiosi infuriati con i Pm. Adesso puntiniamo i discorsi del presidente Usa, in estasi perché i leader mondiali fanno la fila per baciargli il culo. Ma noi scriviamo “cu…” e così pensiamo di salvarci l’anima, lasciando uno spiraglio virtuale alla possibilità alternativa che gli si debba sbaciucchiare che cosa? Il cuore? Il cuneo fiscale? Il cuoio discutibilmente capelluto?

Questi rossori vittoriani nel raccontare un Tipo che non solo si mette le dita nel naso, ma minaccia di tirare le caccole sugli astanti («Ora becco il vecchio con la gonna», «Quello no, è il Papa») dicono tutta la nostra inadeguatezza a individuare il preistorico che emerge dal digitale, di cui comunque Trump è l’interprete più sgargiante ma non il creatore. Se ci proibiamo di cartografare con precisione il mondo nuovo e barbaro noi ci estingueremo, schiantandoci come azzimati cavalieri polacchi che caricano alla sciabola i carri armati. Perciò via i guanti bianchi, le ipocrisie e i puntini: dazio a dazio, pane al pane, rutto al rutto. E tu, Giorge’, il 17 negli Usa non ti portare quel moscio di Tajani ma Vincenzone De Luca, che ora è più libero ed è pure bello carico.

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