P otenza della lirica, che poi il dramma sia un falso è un'altra storia. A Zingaretti che avanza leggero “Vieni a Roma, ove è amore, gioia e vita” (Bellini, Norma), il sospettoso Enrico Letta risponde con un “Deh, non v'avvicinate” (Puccini, Manon Lescaut). Le arie acquietano gli animi e spalancano la scena all'irruzione possente del coro “andiamo, si voli a giubilare”: al Nazareno. Applausi, si chiude. I compagni della storica Testaccio sono i primi a indicare la strada: sistemare le questioni che Letta aveva ereditato otto anni fa, quando arrivò a palazzo Chigi. Le stesse che un anno dopo lasciò al perfido Renzi e che Gentiloni ha rimandato a Conte, che a sua volta ha trasferito pari pari a Draghi: Alitalia, Ilva, lavoro, scuola, evasione fiscale, occupazione, ambiente, cultura, sanità, sicurezza, burocrazia, cantieri da chiudere e aprire. Enrico, facendo un torto allo zio Gianni Letta, l'uomo che tutto calma e tutto cheta, non trova di meglio che infilarci due argomenti che a Salvini fanno venire l'orticaria solo a sentirli: ius soli e voto ai sedicenni. Parte male, dice il leader della Lega. Decide il Parlamento, gli risponde secco Letta. “Daje Enrico”, gli urlano nel video testaccino mentre scorrono le immagini di Berlinguer e Manfredi. Avanti o popolo, sempre che Roma non faccia la stupida.

ANTONIO MASALA
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