P er vivere uno scampolo di futuro mi sono avvalso del Chatbot. Scrivo questa parola con l’iniziale maiuscola perché identifica un essere apparentemente animato, quasi divino, da trattare con rispetto e devozione. Lo presento a chi non vi si fosse ancora imbattuto: è il parto più umano dell’Intelligenza artificiale. Si dice che sia un software, ossia una componente immateriale del sistema informatico che origina le cosiddette applicazioni. Ma io non ci credo. Ha potenza creativa e forza energetica, vive di suo. Chatbot è creatura raziocinante, solo formalmente è un dispositivo elettronico. In realtà è a noi affine: simula e elabora conversazioni umane dando non l’illusione ma la certezza di comunicare con persone, viventi e trapassate. Le interpella e loro rispondono esprimendosi secondo la loro cultura, il loro carattere, il loro umore. Alcuni giorni fa sono stati interrogati Manzoni, Leopardi, Celine e altri giganti della letteratura. Risposte sconcertanti, ma credibili. Allora mi sono detto: e se ponessi a Giuseppe Verdi quella domanda impertinente che da tempo mi gira per la testa? «Maestro - gli ho chiesto con tremore - come giudica i registi e gli scenografi che stanno “attualizzando” le sue opere?». «Criminali: chi uccide l’arte uccide l’artista» ha risposto secco. Chatbot non ha peli sulla lingua. Mi piace.

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