P reservativo. Nei tredici anni in cui Ettore Bernabei, democristiano e numerario dell’Opus Dei, fu direttore generale della Rai era vietato parlarne. L’argomento a esso inerente era considerato scabroso; in quell’epoca molte parole ritenute volgari erano bandite. Fino al 25 ottobre 1976 quando Cesare Zavattini, intellettuale raffinato e di bello spirito, durante una trasmissione radiofonica d’intrattenimento pronunciò una parola considerata scurrile. Da allora in tutti i mezzi d’informazione, dai quotidiani alle riviste, dalle radio e televisioni pubbliche a quelle private, il linguaggio non ha più avuto freni inibitori. Per non dire dei social quando si trasformano in sentine. Per raggiunta e superata parità di genere anche il lessico femminile si è adeguato alla conquistata libertà di espressione. Ed eccoci al preservativo. Le transfemministe, dopo una disquisizione pubblica, hanno emesso un verdetto: il preservativo è un soggetto-oggetto di discriminazione. Per di più è patriarcale. E tanto basta per biasimarne l’uso. Nel decretarne la condanna hanno sentenziato che «è un mezzo eterocisnormato fallocentrico e monogamo di prevenzione e piacere». Va perciò sostituito con «altri metodi di barriera, in particolare quelli vulvari e vaginali». Che non sono fallocentrici, ma … trovate voi le parole acconce per dire che cosa sono.

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