L a modifica della denominazione di alcuni ministeri (al Merito, alla Sovranità alimentare) ha suscitato le inevitabili polemiche. Gli oppositori ne hanno visto un misto di fascismo-revanscismo-patriottismo. I simpatizzanti di Meloni una sacrosanta rivendicazione, gli osservatori imparziali una questione formale fatta per strizzare l’occhio all’elettorato di centrodestra (ma soprattutto di destra) che ha assistito con un pizzico di sconcerto alla formazione di un governo con tante vecchie facce e molti ex del gabinetto Berlusconi. L’altro giorno in tv, la professoressa Antonella Viola dell’Università di Padova ha tuonato contro il concetto di merito. «La scuola deve aiutare chi è in difficoltà e non emarginarlo». Mentre la valutazione del merito - ha continuato Viola - è sacrosanto per il corpo insegnante. Posto che la scuola deve fare ogni sforzo per aiutare chi è in difficoltà negli studi, come si può diventare insegnanti (e quindi essere sottoposti al giudizio sul merito) se non si viene giudicati sul merito durante il percorso scolastico? La verità è che all’Università adesso arrivano emeriti ignoranti (basta chiedere a un qualunque docente) e che un professore (è successo poche settimane fa all’Ateneo di Cagliari) può sentirsi dire da due studentesse che il Cristianesimo è nato nel 1600 e che i nuraghi risalgono al 1300. Dopo Cristo si intende.

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