B eatrice Venezi è una ragazza vivace, che ogni tanto prova gusto a commettere monellerie. Musicista di talento, ha dichiarato sconsideratamente di non essere di sinistra. Un’ingenuità che equivale a un reato di arroganza; una provocazione nei confronti del sinedrio che giudica e condanna gli artisti e le loro manifestazioni. A Lucca, nella serata inaugurale del festival pucciniano, ha inserito nel programma l’Inno a Roma, che ha diretto da par suo. Quanto basta per essere accusata di tendenze e simpatie fasciste. Puccini musicò l’Inno nel 1918 quando, dopo la vittoria dell’Italia nella Grande guerra, enfasi e retorica dilagavano. Il testo è del librettista Fausto Salvatori, che oltre a questo non ha lasciato altra traccia di sé. Nei versi si coglie l’eco del Carmen seculare di Orazio: «Sole che sorgi libero e giocondo sul colle nostro i tuoi cavalli doma; tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma». Parole che molto piacquero, anni dopo, al regime fascista. Che inserì quel canto fra i suoi preferiti. L’inno a Roma quindi non è di matrice fascista. Come la musica di Wagner non è nazista anche se prediletta dal dittatore psicopatico innominabile. Nessuna tirannia, nemmeno la più feroce, può contaminare le note sublimi dei grandi musicisti. Che attraverso l’arte riscattano l’umanità dai suoi peccati.

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