F arebbe quasi simpatia il ministro Sangiuliano che dichiara guerra all’uso delle parole straniere definendolo uno “snobismo molto radical chic”, e infila così una solitaria parolina italiana (“molto”) fra tre forestiere, di diritto o d’origine. Farebbe quasi simpatia se non fosse la solita botta di purismo vecchio come il cucco risciacquato in olio di ricino, quella miscela tra un reazionarismo ottocentesco da complessati e lo strapaese xenofobo da Ventennio che portava a tradurre la parola cocktail alternativamente in “coda di gallo” ovvero nell’impagabile “coccotello”.

In ogni caso qualunque linguista sarà felice di spiegare al ministro che il lessico è una creatura indomabile e nessuna maggioranza parlamentare, neanche una che non si fosse affermata thatcherando a vanvera di “flat tax”, potrà costringerla al patriottismo.

Se proprio il ministro teme per l’italiano non lo difenda dalle altre lingue ma dal burocratese, che davvero lo asfissia. Lo difenda nelle delibere, nelle sentenze, nei decreti, nelle circolari e in tutti i postacci dove non si va da nessuna parte ma ci si reca, non si fa mai nulla ma lo si effettua e qualunque cosa è sempre assurdamente apposita. Se ci riesce nessuno gli negherà un convinto chapeau.

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