C hiunque abbia avuto una gioventù afflitta dagli studi classici prima o poi ha domandato: ma questa roba a che mi servirà? E regolarmente si è sentito rispondere che (A) lo studio delle lingue morte rinvigorisce ed elasticizza la mente e che (B) lo studio del passato ci evita di commettere gli errori degli antichi. In particolare l’Iliade, l’eterna sceneggiatura delle eterne passioni umane, che una volta letta quella sai praticamente già tutto di quel che è accaduto e di quel che accadrà. Punto. E ci si rimetteva a studiare, poco convinti (ma i più suggestionabili si immaginavano nei panni di un James Bond che un giorno avrebbe brillantemente evitato un attentato nucleare e poi, soffiando via il fumo dalla canna della sua semiautomatica cromata, avrebbe incassato gli applausi mormorando: “Sapete com’è, a 16 anni imparai l’aoristo…”). Erano tutte balle, pensa malinconico un ex giovane guardando alla finestra la pioggia che affoga la città. Sere e sere a imparare i versi su Cassandra e le sue profezie inascoltate, poi è bastato che si presentasse come Greta e avesse l’accento svedese e non l’abbiamo riconosciuta. Ci sarebbe ancora tempo per fermare il treno impazzito del clima, ma non abbiamo abbastanza aoristi né ariosti per farcela. Leveremo il disturbo galleggiando in un mare di rimpianti e di versioni di greco inzuppate.

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