L a capacità di Briatore di esalare antipatia da ogni sillaba che pronuncia è tale che, messo davanti al binomio “Briatore contro x”, qualunque mammifero si schiera subito per “x”, senza curarsi che l’incognita rappresenti i carmelitani scalzi o i satanisti per la riforma.

Perciò nel dibattito (ehm) sul costo della pizza viene da schierarsi a prescindere coi napoletani che continuano a proporre la margherita a 5 euro e contro la pizza al Patanegra da 65. Anche perché per noi tutti la pizza è l’equivalente gastronomico del cerchio, un elemento immutabile nella sua umile perfezione: non è che se lo fai con gli Swarovski viene più tondo. E così la marinara se la placchi d’oro costerà di più, sì, ma non sarà migliore: sarà solo più esclusiva, anche nella digestione. E quindi dai, tutti contro Flaviaccio e la sua mania di rappresentare ogni istanza popolare ed egualitaria come uno snobismo leninista da radical chef con la pizza sotto il naso.

Solo che anziché replicargli così, un campione del pizzaiolismo democratico ribatte a Briatore che loro, i napoletani low cost, la pizza “la fanno con amore”. No, vabbè. Con amore. Davvero siamo ancora a questo? Davvero il pendolo della nostra chiacchiera pubblica oscilla sempre fra reaganismo di borgata e neomelodismo alla Merola?

Il Sud del mondo sono gli anni Ottanta, e noi non ne usciremo mai. Altro che Pnrr.

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