I eri uno studente-lavoratore di mezza età che andava a dare l’ultimo esame è sfuggito a un gruppo di persone arrabbiate, che per via delle sue opinioni voleva rendergli le cose difficili. Si può allungare il brodo con qualche considerazione su quanto sia complicato fare l’università quando non sei più verde, sull’imbarazzo di chiedere a un collega che potrebbe esserti nipotino se ti fa fotocopiare le dispense, o di rispondere a un tipo che ha qualche anno meno di te ma volendo può, con la garbata condiscendenza in uso nell’accademia, darti del lei e chiamarti per nome (“Dica, Alessandro, porta tutto il programma o solo una parte?”). E insomma sarebbe tosta se anche fuori dall’aula non ti chiamassero ministro Giuli. Dice: “Eh, ma è un fascista. O comunque lo è stato”. E invece rompergli le scatole mentre va, fra ansia da prestazione e rossore per l’età matura, a chiudere un conto con la sua passata giovinezza, portargli lo striscione per vedere se balbetta, se gli si ingarbuglia quel che ha studiato di notte a suon di caffè, questa roba chi la insegnava? Berlinguer? Pertini? C’è un quaderno di Gramsci che dice di farli vergognare prima della laurea perché avremo bisogno di tutta la loro ignoranza? Ma per favore. La prima forma di antifascismo richiesta a noi gente fortunata, vissuta senza nazisti in casa o squadracce in giro, è il rispetto fra umani.

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