I eri l’Ansa informava che alla cena di gala data da Putin in onore di Xi il menu prevedeva frutti di mare dell’Estremo Oriente, frittelle con quaglie e funghi, zuppa di storione, carne di cervo con verdure e infine la Pavlova, una torta di meringa e panna. E il redattore incaricato di impaginare l’articolo vero, quello con la sostanza dell’incontro fra i due tiranni, nell’attesa lasciava correre la fantasia. Quindi la Pavlova inevitabilmente diventava una cugina russa della Luisona, l’indigeribile pasta invecchiata per anni nella vetrinetta del Bar sotto il Mare di Benni. Ma poi, con buona pace di cervi e quaglie, l’attenzione andava tutta allo storione. Perché anni fa c’era un vecchio e autorevole collega che aveva il vezzo, davanti a una storia di cronaca che gli pareva particolarmente forte, di cambiarle genere e guarnirla di un accrescitivo. “È uno storione”, sentenziava. E ai più giovani e schiocchini di noi veniva da immaginarlo, questo pescione pallido ed enorme con penne e matite al posto dei baffi, che nuotava silenzioso nel grande Volga di inchiostro destinato a sfociare anche quella notte nelle pagine del nostro giornale.

Quindi per oggi mangialo pure, Vlad, questo pesce rubato ai racconti di Gogol e agli aneddoti di redazione. Un giorno farai la fine di tutti i killer che sbagliano guerra. Sarà uno storione vero, e se il Cielo vuole sarà un piacere raccontarlo.

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