S comparso dai radar della politica, lo davano per disperso. Gigi Di Maio, invece, nel suo romitaggio segreto meditava una clamorosa rivincita sul popolo ingrato, che lo aveva bocciato alle elezioni politiche. Come capo di un avventuroso partito da lui fondato aveva rimediato una percentuale da albumina nelle urine. Ancora dolente per le randellate infertegli dall’amico del giaguaro Conte Giuseppe, bussò alla porta dell’Ue. In quell’ambiente era rinomato come geografo creativo. Uno che confonde il Cile con il Venezuela, l’Ucraina con la Moldavia e sistema motu proprio la Russia sulle rive del Mediterraneo merita un incarico diplomatico di prestigio. Detto e fatto: inviato speciale nei paesi del Golfo Persico. Per solo 13mila euro al mese più rimborsi, indennità e benefit, dovrà sviluppare un partenariato con i paesi arabi che vi si affacciano galleggiando su immensi giacimenti di gas. E lui, che vendeva bibite gassate, di gas se ne intende. Fermiamolo. Per evitare che espatri facciamogli una controfferta economica doppia, tripla, decupla. All’Italia serve il suo genio, che ideò e realizzò l’abolizione della povertà. Di Maio è un cervello in fuga; chi può lo blocchi. Noi, nel nostro piccolo, gli faremo da scudo per evitare che politici invidiosi continuino a percularlo chiamandolo «il Giggetto d’Arabia».

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