È tornato dalla foresta rossa dove si era rifugiato. Massimo D’Alema, falce martello baffetti e spocchia, non si è mai rassegnato alla vita da orfano del Pci. Ha continuato a combattere la sua guerra fredda davanti a uno specchio. Come quell’ultimo giapponese, che non accettando il disonore della sconfitta, proseguì da solo la battaglia. Comunista aristocratico, si è tenuto distante dalle masse troppo sudate dei lavoratori. Uomo di lotta e di salotto, ha preferito respirare aria di mare sulla sua barca a vela di 18 metri piuttosto che l’atmosfera viziata delle adunate proletarie. Frequentatore di boutique per i suoi acquisti di scarpe e abiti, ha disdegnato i grandi magazzini. Ma solo per dimostrare che la vita agiata non è preclusa ai comunisti. Estintosi il Pci come un dinosauro dopo la caduta di un meteorite, prese parte attiva a tre mutazioni. Durante la seconda, chiamata Ds, fu eletto capo del governo. Vi inglobò tutti i grandi nomi dell’epoca compreso Sergio Mattarella, che fu il suo vice. Aderì alla guerra balcanica e mandò gli aerei tricolori a bombardare Belgrado. Alla terza mutazione andò a vaccinarsi in un hub chiamato Leu. Redivivo, è riapparso nel regno Pd di largo del Nazareno. Spettro coi baffi, è l’incubo notturno di Letta. Come lo fu l’ombra di Banquo per il regicida Macbeth.

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